Gli Stati Uniti tornano nell’Unesco per non lasciare spazio alla Cina
Quando gli Stati Uniti prendono un’iniziativa diplomatica la Cina non è mai lontana dai loro pensieri, soprattutto nel contesto attuale. È il caso, almeno in parte, dell’annuncio con cui il 12 giugno Washington ha comunicato la decisione di rientrare nell’Unesco dopo diversi anni di assenza. La notizia è ancora più sensazionale se consideriamo che gli statunitensi si sono impegnati a pagare i contributi arretrati, che ammontano a centinaia di milioni di dollari. Il che è molto insolito, non c’è che dire.
Pechino ha comprensibilmente reagito con fastidio alla scelta americana. “L’Unesco deve vigilare, perché gli Stati Uniti rientrano solo per usare l’istituzione contro la Cina”, scrive il quotidiano del Partito comunista cinese, Global Times.
Ma facciamo un po’ d’ordine. Gli Stati Uniti si sono ritirati in due tempi dall’organizzazione dell’Onu che si occupa dell’istruzione, della scienza e della cultura, e che ha sede a Parigi. La Cina non c’entrava nulla. Nel 2011 l’ammissione della Palestina nell’Unesco aveva spinto Barack Obama a sospendere i pagamenti statunitensi in virtù di una legge adottata dal congresso. Nel 2017, invece, Donald Trump aveva fatto un ulteriore passo ritirando del tutto gli Stati Uniti e accusando l’agenzia dell’Onu di avere un pregiudizio contro Israele.
Calmare le acque
Esistono due motivi dietro l’attuale inversione di rotta. Prima di tutto si è arrivati a un compromesso sull’origine delle frizioni, ovvero le votazioni sui luoghi islamici situati nei territori palestinesi occupati. La direttrice generale dell’Unesco, l’ex ministra francese Audrey Azoulay, è riuscita a calmare le acque allontanando l’organizzazione dalle polemiche.
In secondo luogo – e finalmente arriviamo alla Cina – gli Stati Uniti hanno capito che la politica della sedia vuota fa il gioco di Pechino. Secondo contribuente dell’Unesco, la Cina si è ritrovata negli ultimi anni a ricoprire il ruolo di finanziatore principale. Ricordiamo che l’organizzazione non si occupa soltanto di selezionare i siti patrimonio dell’umanità, ma anche di programmi formativi, della ricostruzione di Mosul in Iraq, della difesa della libertà di stampa o ancora di collaborazioni scientifiche.
Washington mette a segno un inatteso colpo diplomatico, anche sul piano interno
In particolare, l’Unesco ha preparato e adottato un codice etico per l’intelligenza artificiale, argomento caldo di questi tempi. Gli Stati Uniti, insomma, non possono permettersi di essere assenti da un’istituzione che definisce alcune norme, soprattutto se la Cina vi partecipa.
Con il rientro nell’Unesco, Washington mette a segno un inatteso colpo diplomatico. Non solo gli Stati Uniti riprendono il loro posto, ma l’amministrazione Biden ha ottenuto un sostegno bipartisan dal congresso per il saldo degli arretrati. Per farlo è stato necessario superare il divieto di finanziare un’organizzazione di cui fa parte la Palestina.
Questa manovra permette agli americani di dimostrare ai paesi del sud, particolarmente legati all’Unesco, di essere sensibili alle loro posizioni. La guerra in Ucraina ha sicuramente il suo impatto in questa dinamica.
Tra l’altro, sempre il 12 giugno, il Washington Post ha pubblicato la notizia che l’amministrazione Biden starebbe lavorando a un progetto per l’allargamento del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per includere sei grandi paesi emergenti. Anche se per il momento la riforma ha poche possibilità di successo, serve a mostrare la buona volontà in un contesto in cui questi paesi, dal Brasile al Sudafrica, stanno cedendo alle sirene antioccidentali di Mosca e Pechino.
In definitiva, anche se con una buona dose di insinuazioni, possiamo dire che questo ritorno degli Stati Uniti rafforza un multilateralismo che in questo momento è messo a dura prova. La diplomazia non ha ancora detto l’ultima parola.
(Traduzione di Andrea Sparacino)