Nel fine settimana il segretario di stato statunitense Antony Blinken andrà a Pechino per incontrare i leader cinesi. È un fatto piuttosto significativo se consideriamo che la visita era prevista per febbraio ma era stata annullata a causa della vicenda del pallone spia cinese sui cieli degli Stati Uniti.
Un incontro non equivale certo alla distensione, perché il fossato tra Pechino e Washington è ormai troppo largo per essere colmato in poche ore di discussioni. Ma è altrettanto vero che il sostanziale silenzio tra le due superpotenze del pianeta – che non si parlano quasi più da sette mesi, ovvero dal vertice di novembre tra Joe Biden e Xi Jinping – era diventato preoccupante.
Negli ultimi mesi la retorica su entrambi i versanti si è fatta sempre più aspra, le frizioni militari sempre più frequenti, dal mar Cinese meridionale allo stretto di Taiwan. L’esercito statunitense ha diffuso alcuni video di incontri ravvicinati aerei e navali ad alto rischio di un incidente che potrebbe far precipitare la situazione.
Ambiente teso
Il mese scorso Washington aveva proposto un vertice tra i due ministri della difesa a margine di una conferenza a Singapore, ma Pechino aveva rifiutato l’invito perché il ministro cinese è attualmente sottoposto alle sanzioni statunitensi. Questo per dare un’idea di quanto l’ambiente sia poco favorevole alla pacificazione.
La situazione è stata riassunta adeguatamente da Kurt Campbell, coordinatore della politica per l’indo-pacifico dell’amministrazione statunitense. “La concorrenza intensa necessita di una diplomazia intensa se vogliamo gestire la tensione”, ha dichiarato alla vigilia della visita. Traduzione: statunitensi e cinesi devono imparare a essere in disaccordo senza rischiare di scatenare la terza guerra mondiale.
Stiamo davvero vivendo una nuova guerra fredda? Il paragone è calzante tranne che sul piano economico
Le aspettative, insomma, sono abbastanza basse. Ma se i due paesi dovessero davvero riuscire ad avviare un dialogo che gli permetterà di “gestire la tensione”, per riprendere la formula utilizzata da Campbell, il mondo avrà fatto un grande passo avanti. È un po’ quello che è accaduto durante la guerra fredda con l’Urss, quando il riavvicinamento ha portato alla firma di importanti accordi sul controllo degli armamenti.
Tra i corsi e ricorsi storici c’è anche il fatto che qualche giorno fa è stata sfiorata una nuova crisi di Cuba, con la rivelazione dell’esistenza di una stazione d’ascolto cinese sull’isola caraibica, a pochi chilometri dalle coste degli Stati Uniti. Si è trattato di una ripetizione più “soft” della crisi dei missili che nel 1962 aveva portato americani e sovietici sull’orlo della guerra nucleare. Stavolta Washington si è affrettata a sdrammatizzare. Dopo tutto gli statunitensi si comportano nello stesso modo nei confronti della Cina…
Stiamo davvero vivendo una nuova guerra fredda? Il paragone è calzante tranne che sul piano economico. Gli scambi tra Stati Uniti e Cina, infatti, sono immensi, mentre con l’Urss erano inesistenti. Da questa realtà deriva l’abusato concetto di “de-risking”, cioè la riduzione del rischio: l’idea è limitarsi a non dipendere dalla Cina per i prodotti delicati e di non fornirne a Pechino, a cominciare dal settore della tecnologia. Sul fronte opposto, i cinesi parlano di “autosufficienza”, ovvero della volontà di non dipendere dall’occidente.
Ma tutto questo non basta a scongiurare il rischio di un’escalation, soprattutto a proposito di Taiwan. Da questo pericolo emerge l’importanza degli incontri avviati nel fine settimana a Pechino. “Gli Stati Uniti sanno quello che bisogna fare per smorzare la tensione”, ha dichiarato in settimana il ministro degli esteri cinese Qin Gang. Un modo per addossare la responsabilità unicamente a Washington.
Per verificare la temperatura di questa visita bisognerà aspettare di vedere se Blinken sarà ricevuto da Xi. Nel fine settimana il numero uno cinese ha in programma un incontro con Bill Gates. Se riceverà il magnate ma non il ministro, sarà il segnale che la visita non sta andando per il verso giusto. Attendiamo nuovi sviluppi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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