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La Cina risponde alla sfida tecnologica statunitense

Hangzhou, Cina, 30 maggio 2022. Un ricercatore mostra un wafer di ossido di gallio in un centro di ricerca universitario. (Ap/LaPresse)

Molti di voi, comprensibilmente, non avranno mai sentito parlare del gallio e del germanio. Si tratta di due metalli fondamentali che sono finiti improvvisamente al centro della nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina.

In settimana Pechino ha annunciato che dal 1 agosto le esportazioni cinesi di gallio e germanio avranno bisogno di un’autorizzazione. La richiesta dovrà specificare il destinatario e il prodotto finale, per ragioni che secondo il governo cinese sono legate alla “sicurezza nazionale”.

Dietro quella che può sembrare una misura burocratica si nasconde la risposta cinese alle tante restrizioni statunitensi che di recente hanno colpito le aziende tecnologiche del paese. La Cina, infatti, è di gran lunga il primo produttore mondiale di gallio e germanio, due metalli indispensabili in particolare per la produzione di semiconduttori, i chip essenziali per qualsiasi prodotto industriale.

Terreno di scontro
Per rendersi conto della posta in gioco basta leggere il titolo di un articolo pubblicato in settimana dal quotidiano statale cinese Global Times: “Il controllo delle esportazioni cinesi di gallio e germanio colpirà l’industria della difesa statunitense”. Difficile essere più espliciti.

La tecnologia è il principale terreno di scontro tra Pechino e Washington. Il braccio di ferro è cominciato nel 2018 con l’arresto a Vancouver della direttrice finanziaria dell’azienda cinese Huawei.

Per adesso la Cina ha introdotto solo un meccanismo di controllo delle esportazioni, senza imporre restrizioni specifiche

Da allora è arrivato un diluvio di sanzioni e restrizioni, soprattutto grazie all’extra-territorialità delle decisioni statunitensi. Sia il gigante taiwanese dei semiconduttori (Tsmc) sia il produttore dei macchinari essenziali per fabbricarli (l’olandese Asml) devono sottostare a un divieto di esportare in Cina. Washington ha stilato diverse liste nere di aziende cinesi che bisogna privare di tecnologia e fondi. Secondo il Wall Street Journal altre misure sono in fase di preparazione per limitare l’accesso della Cina al cloud statunitense.

Pechino, finora, aveva reagito debolmente alle misure americane. Ma adesso sembra intenzionata a rispondere.

Allo stato attuale, comunque, la Cina ha introdotto solo un meccanismo di controllo delle esportazioni, senza imporre restrizioni specifiche. Ma la minaccia è chiara e ricorda una crisi diplomatica con il Giappone ormai vecchia di un decennio. In quell’occasione Pechino aveva bloccato le sue esportazioni di terre rare, i minerali strategici di cui domina la produzione.

La tempistica non è casuale: in settimana la segretaria al tesoro americano Janet Yellen si troverà a Pechino nel quadro di un processo di distensione. Dunque la minaccia sulle esportazioni finisce sul tavolo delle trattative per mostrare che anche la Cina ha argomenti dissuasivi in caso di guerra tecnologica totale.

La decisione del governo cinese attira l’attenzione su una delle contraddizioni del mondo moderno: il controllo di Pechino su numerose filiere minerarie e tecnologiche indispensabili per lo sviluppo futuro. Una situazione simile dovrebbe spingere verso il compromesso, ma non è detto che sia così. Il gallio e il germanio saranno un test delle nuove dinamiche.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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