Una mappa rivela le ambizioni territoriali di Pechino
Immaginate che uno stato confinante pubblichi una mappa in cui considera come acquisite intere aree del vostro paese. È sostanzialmente quello che è accaduto la settimana scorsa con la Cina. I paesi limitrofi, come prevedibile, non hanno apprezzato.
La mappa, pubblicata dal ministero delle risorse naturali e diffuso sui social network, ha suscitato la condanna dei vicini asiatici della Cina: Malaysia, Vietnam, Filippine, Indonesia e naturalmente Taiwan, isola che Pechino considera come parte integrante del suo territorio.
La reazione più dura, però, è arrivata dall’India, di cui il documento reclama due regioni contese nell’Himalaya. Il 4 settembre il governo di Narendra Modi ha risposto con una dimostrazione di forza militare al confine con il Pakistan e la Cina.
Qualcosa è cambiato
Dopo i sanguinosi scontri alla frontiera di tre anni fa, l’India e la Cina si guardano in cagnesco e non riescono a ridurre la tensione nonostante una serie di incontri.
Le rivendicazioni cinesi su oltre l’80 per cento del mar Cinese meridionale e su ampie aree di territorio indiano non sono una novità. Il primo documento in cui Pechino ha palesato le sue aspirazioni su gran parte del mar Cinese meridionale, infatti, risale al 2009.
Ma ora qualcosa è cambiato, e questo può aiutare a comprendere le reazioni accese dei paesi asiatici. Da un lato la Cina possiede mezzi militari all’altezza delle sue ambizioni, dall’altro non esita a umiliare i vicini mettendoli davanti al fatto compiuto.
Il grande amico russo di Pechino è stato obbligato a reagire al documento, che tra le altre cose rivendica parte del suo territorio
Dopo che Pechino ha militarizzato una serie di atolli nel mar Cinese, il mese scorso si è verificato uno scontro tra la guardia costiera cinese e la marina delle Filippine. Le reazioni sono state congrue rispetto alla minaccia. Anche paesi molto prudenti nei loro rapporti con la Cina, come l’Indonesia o la Malaysia, hanno protestato con forza.
Paradossalmente il grande amico russo si è visto obbligato a reagire al documento di Pechino, che tra le altre cose rivendica parte del suo territorio. Mosca ha diffuso un comunicato secco in cui ricorda che le dispute di confine sono regolate da un trattato del 2001.
Esiste davvero il rischio di un conflitto? La Cina non pratica un imperialismo classico e non combatte una guerra regolare dalla sfortunata esperienza in Vietnam del 1979, ma cerca di imporre la sua egemonia in Asia dimostrando continuamente la sua superiorità militare e facendo valere i vantaggi economici di una collaborazione con le sue autorità. Taiwan è un caso a parte, in cui la guerra è effettivamente possibile.
Esistono due ostacoli a questa ambizione regionale. Il più importante è la presenza statunitense, che permette a buona parte del sudest asiatico di resistere alle pressioni cinesi. Il secondo, invece, è la crescita dell’India. Le nuove tensioni arrivano a pochi giorni dal vertice dei Brics a Johannesburg ed evidenziano fino a che punto il club dei paesi emergenti, ora allargato, sia un blocco tutt’altro che coerente.
L’ultimo segno di questo clima nervoso è l’assenza del numero uno cinese Xi Jinping dal vertice del G20 che si terrà nel fine settimana a New Delhi. Il documento della discordia è il sintomo – e non la causa – di un gioco pericoloso nella zona più militarizzata del mondo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)