È una tragedia post-sovietica, ma anche il riflesso dell’inquietante deriva del mondo attuale. La storia racconterà la dissoluzione dell’autoproclamata repubblica di Artsakh, il Nagorno Karabakh, annunciata il 28 settembre dai suoi leader sconfitti. Ma ricorderà soprattutto una nuova pulizia etnica di massa, pratica medievale che va avanti di guerra in guerra.

Le immagini dell’esodo degli armeni dall’enclave del Nagorno Karabakh, riprese dall’esercito azero, sono sconvolgenti. Più della metà dei 120mila abitanti del territorio sono già diretti verso l’Armenia, l’unico rifugio possibile. Queste persone si lasciano alle spalle tutto, con la certezza che non potranno mai tornare a casa.

Ancora qualche giorno e senza dubbio saranno partiti tutti, perché nemmeno un singolo armeno vorrà restare sotto il dominio azero. Così la pulizia etnica sarà compiuta, segnando una tragica regressione che niente e nessuno, nel contesto attuale, può fermare.

Un fallimento totale
La settimana scorsa, in 24 ore di combattimenti, l’Azerbaigian ha riconquistato il controllo dell’enclave che gli sfuggiva da tre decenni. Baku ha utilizzato la forza in un momento in cui non esistono più né gendarmi internazionali né arbitri dei conflitti.

Quanto accaduto è il prodotto di una tensione secolare che in epoca sovietica era stata congelata, prima di risvegliarsi con la fine dell’Unione Sovietica. La vicenda riguarda la storia, ma anche la geografia e un groviglio di popoli che ignora le frontiere.

Alla fine degli anni ottanta la morsa sovietica si è indebolita, e nel 1991 l’Unione Sovietica è crollata. È allora che sono riesplosi i vecchi conflitti, con le rivendicazioni territoriali di Armenia e Azerbaigian, che hanno provocato una guerra e un primo esodo. Secondo gli storici all’epoca si è verificata la partenza in massa di duecentomila azeri che vivevano in Armenia e trecentomila armeni residenti in Azerbaigian.

Nel 1994, dopo la vittoria bellica dell’Armenia, altre centinaia di migliaia di azeri e curdi sono stati costretti a fuggire dai villaggi del Nagorno Karabakh, diventando profughi in Azerbaigian. Fino al 2020 e alla prima vittoria di Baku. Queste vite sconvolte dalle guerre rappresentano la vera tragedia di un mondo che non ha saputo fare passi avanti e permettere la coesistenza di popoli diversi. È stato un fallimento totale.

Siamo davanti alla fine di questa vicenda? Purtroppo è lecito temere che non sia così. La mappa della regione presenta altre aree calde. L’Azerbaigian controlla anche un’enclave popolata da azeri, il Naxçıvan, nel sud dell’Armenia, vicino al confine con la Turchia. Il governo di Baku pretende l’apertura di un corridoio per collegare i due territori, che dovrebbe passare sul suolo armeno e costeggiare l’Iran. Se gli azeri cercheranno di sfruttare la loro superiorità militare per ottenere questo passaggio, il rischio evidente è quello di una nuova guerra.

In questo contesto il ruolo dell’Iran è piuttosto interessante: la Repubblica islamica è infatti vicina all’Armenia contro l’Azerbaigian musulmano. La spiegazione è legata alla presenza di una forte minoranza azera in Iran – fino a un quarto della popolazione – e al sostegno di Israele a Baku.

Questa complessità umana, geografica e strategica rende la regione una terra di conflitto. La pulizia etnica fa parte dell’arsenale di guerra. Ora bisognerà ricostruire un equilibrio per scongiurare un nuovo conflitto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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