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Le tre lezioni della vittoria dell’estrema destra olandese

L’Aia, Paesi Bassi, 23 novembre 2023. (Robin Utrecht, Anp/Afp)

Per molto tempo Geert Wilders è stato una figura eccentrica e inquietante, ma allo stesso tempo marginale nel paesaggio politico olandese. Famoso per le sue dichiarazioni contro i musulmani, Wilders ha insultato in particolare i marocchini, molto presenti nei Paesi Bassi, venendo anche condannato per questo.

Sempre terzo o quarto alle elezioni, il 22 novembre Wilders ha finalmente vinto. Lo stupore suscitato dal risultato elettorale è proporzionale alla portata del suo successo: 37 seggi su 150, il doppio rispetto alla legislatura precedente.

La ricetta è la stessa vista in altri paesi: un programma contro l’immigrazione che sfrutta la paura. La vittoria di Wilders riflette una tendenza diffusa in tutto il continente, dalla Svezia al Portogallo, passando per l’Italia e naturalmente per la Francia.

In attesa di sapere se Wilders avrà i numeri per governare – dovrà stringere alleanze per formare una coalizione – possiamo trarre almeno tre lezioni dalla vittoria dell’estrema destra in uno dei paesi fondatori dell’Unione europea.

Prima di tutto, i partiti tradizionali – di destra e di sinistra – non hanno saputo trovare toni e idee sul tema delle migrazioni che potessero contrastare il discorso aggressivo dell’estrema destra, basato sulla chiusura.

La destra pensa d’impedire al suo elettorato di spostarsi verso l’estrema destra comportandosi come gli estremisti, ma in questo modo non fa altro che aprirle la strada. La sinistra si rifugia sul terreno delle discriminazioni. In Germania abbiamo visto nascere addirittura un partito contro l’immigrazione di sinistra. Quando l’estrema destra arriva al potere, com’è successo in Italia, mostra la sua mancanza di soluzioni. L’Europa avrebbe i mezzi per affrontare l’argomento in modo adeguato, ma finora non è riuscita a superare le contraddizioni interne.

La seconda lezione riguarda l’incapacità dei partiti tradizionali di rinnovarsi, favorendo gli estremisti. La forza dei grandi partiti si è ridotta sensibilmente, come dimostrano i casi della Francia e dell’Italia. Il risultato è stato l’emergere di coalizioni improbabili o di esperienze instabili. L’estrema destra può rivendicare di non essere stata ancora messa alla prova, come ha fatto Meloni in Italia l’anno scorso.

Infine, la terza lezione riguarda lo stato dell’Europa, sempre più preoccupante. Viviamo un momento di cambiamento negli equilibri del mondo, di guerre e rivalità. Per non parlare del possibile ritorno di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, che di sicuro non farebbe sconti agli europei.

La strategia più logica sarebbe quella di rafforzare l’Europa per affrontare questa ridefinizione dei rapporti di forza. Ma lo smarrimento dell’opinione pubblica, la mediocrità delle ambizioni politiche e le manipolazioni di ogni tipo sui social network hanno l’effetto contrario. I nazionalisti propongono soluzioni locali quando le sfide sono su scala molto più grande.

Pensavamo che gli europei avessero imparato qualcosa dal suicidio in diretta del Regno Unito con la Brexit. Eppure, sette anni dopo, gli olandesi hanno eletto un sostenitore della Nexit, l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione europea. Una notizia poco incoraggiante in vista delle elezioni europee del prossimo giugno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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