La fragilità dell’Iran pesa sulla crisi in Medio Oriente
È un paradosso strano. L’Iran è lo sponsor delle forze più temute in questo momento in Medio Oriente: Hamas a Gaza; gli huthi nello Yemen, che ostacolano il traffico marittimo nel mar Rosso; Hezbollah in Libano. Ma allo stesso tempo il regime dei mullah è in difficoltà a causa del successo sui social network del video di un anziano che balla.
La storia dello zio Sadegh, come si fa chiamare l’uomo, mostra alla perfezione la difficoltà di analizzare la complessità iraniana. Questo tassista dai capelli bianchi di Rasht, città sul mar Caspio, è diventato una specie di attrazione locale cantando e ballando al mercato del pesce. A novembre un video in cui Sadegh ancheggia, ripetendo il ritornello “Ow ow ow”, ha fatto il giro dell’Iran, con quattro milioni di visualizzazioni in pochi giorni.
In un qualsiasi altro paese si tratterebbe di un effimero momento di gloria tipico dell’epoca dei social network, ma non in Iran, dove Sadegh è diventato un fenomeno sociale e di conseguenza anche politico. Migliaia di iraniani, tra cui molte donne senza velo, si sono ripresi mentre lo imitano e cantano “Ow ow ow”. Le autorità lo hanno considerato un atto di rivolta e anti-islamico.
E così le forze dell’ordine hanno fatto ciò che gli riesce meglio, ovvero reprimere: l’anziano e tutti quelli che potevano essere identificati nei video sono stati arrestati. Ne è seguito un dibattito pubblico in cui diverse voci hanno difeso quella che dopo tutto sembra una semplice “espressione di allegria” e non certo un atto politico. Sadegh è stato scarcerato e la sua pagina su Instagram è stata sbloccata. Tutto, alla fine, è tornato alla normalità.
Eppure in questo momento è difficile non notare l’estremo nervosismo di un regime che va in difficoltà per un episodio così banale. Per capire la situazione bisogna tenere presente che le autorità sono sulla difensiva dopo l’ondata di proteste scatenate dalla morte di Mahsa Jina Amini, arrestata perché accusata d’indossare il velo in modo scorretto e morta mentre era in custodia della polizia. Prima di ristabilire l’ordine sono morte centinaia di persone. Di recente è stata eseguita la settima condanna a morte per fatti legati alle proteste.
Questo è il grande paradosso dell’Iran, potenza destabilizzante sulla scena internazionale ma regime fragile al suo interno.
Quale conseguenza ha questa debolezza sul ruolo di Teheran nella regione? Ogni volta che il paese attraversa una crisi ci si chiede come si rifletterà sul suo attivismo nell’area, anche se al momento è chiaro che la sua sfera d’influenza è ancora ben solida e si estende dallo Yemen alla Striscia di Gaza, passando per le milizie sciite irachene, la Siria e naturalmente Hezbollah in Libano.
Nella guerra in corso in Medio Oriente tra Israele e Hamas l’Iran mantiene una posizione ambivalente: non si muove apertamente per innescare un’escalation ma sfrutta i suoi alleati, in questo momento soprattutto gli huthi che seminano scompiglio nel mar Rosso. Il regime iraniano si preoccupa evidentemente di non scatenare un conflitto diretto con lo stato ebraico o con gli Stati Uniti, molto presenti nella zona dopo il 7 ottobre, quando Hamas ha attaccato Israele.
L’Iran riuscirà a mantenere questa ambivalenza per tutto il corso della guerra attuale, anche a fronte di un allargamento delle ostilità nella regione? Un paese che ha paura di un anziano che balla può davvero permettersi di entrare in guerra con gli Stati Uniti? Questo paradosso, in apparenza, sembra allontanare la prospettiva di uno scontro, ma non dobbiamo dimenticare che l’Iran non obbedisce alle stesse leggi razionali dei suoi avversari.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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