La settimana scorsa il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha dedicato all’Africa il suo primo viaggio dell’anno, come succede regolarmente da tre decenni. È con questa costanza e gli enormi investimenti che la Cina è diventata il primo partner del continente.
Questa settimana è il turno del segretario di stato di Washington, Antony Blinken. Nel suo giro del continente ha fatto almeno una tappa in comune con il suo omologo cinese: Abidjan, in Costa d’Avorio. Non è un caso. Gli Stati Uniti, infatti, hanno ridato slancio alla diplomazia e alla cooperazione con l’Africa dopo anni di negligenza che hanno favorito l’ascesa di Pechino.
Il 24 gennaio il presidente del Ciad Mahamat Idriss Déby – con indosso un boubou bianco, un abito tradizionale – era a Mosca, al fianco del presidente russo Vladimir Putin. Un incontro significativo: in Ciad, dove si trovano delle truppe francesi, il presidente Emmanuel Macron aveva partecipato ai funerali del padre di Déby, ucciso in combattimento nel 2021, appoggiando una successione ereditaria discutibile. La visita in Russia può dunque sembrare sorprendente, soprattutto considerando che alle Nazioni Unite il Ciad aveva condannato l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.
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È sbagliato vedere in ogni contatto o visita un segnale di allineamento, anche se a volte – com’è successo in Sahel – è proprio quello il caso. Resta il fatto che l’Africa, come ha sottolineato su France24 Antoine Glaser, esperto del continente, “ha il mondo intero nella sua sala d’attesa”.
Russi, cinesi, statunitensi, europei ma anche indiani, turchi, iraniani, brasiliani, coreani e giapponesi. Tutte le potenze, grandi e medie, corteggiano l’Africa alla ricerca d’influenza, nuovi mercati o minerali rari. I motivi sono molti, ma il continente africano, malgrado i suoi immensi problemi di sviluppo, le sue guerre e i suoi generali golpisti, è ormai imprescindibile.
Questa tendenza precede lo scoppio della guerra in Ucraina, ma è da allora che si è manifestata chiaramente l’emancipazione dei paesi africani rispetto alle alleanze tradizionali, una tendenza oggi sempre più netta. Il ruolo senza precedenti del Sudafrica nella denuncia di Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia è l’ennesimo segno di questa nuova realtà.
La Francia, un tempo superpotenza in Africa, oggi paga il prezzo di non aver capito in tempo questa aspirazione verso il multiallineamento, concetto attualmente preferito al non allineamento del passato.
La Francia è emarginata perché ha continuato a comportarsi da tutrice di un’Africa da cui le sue aziende si erano allontanate da tempo e in cui la sua presenza più visibile era quella militare. Quell’epoca è finita dopo la cacciata delle truppe francesi dal Sahel.
Parigi non ha ancora ricostruito il suo rapporto con l’Africa francofona, ma ha dei vantaggi, come quelli rappresentati dalla diaspora africana che vive in Francia, la cultura e la lingua. La partita è ancora aperta, a condizione di evitare le rivalità tra potenze (che esistono in Africa come altrove) e il complesso da ex colonizzatore convinto che tutto gli sia dovuto. Ormai l’influenza va guadagnata, e la Francia, su questo piano, ha ancora molto da dimostrare.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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