Si chiamano “conflitti congelati”. Sono quelle guerre che rimangono irrisolte anche dopo la fine dei combattimenti e che possono riaccendersi in qualsiasi momento.
La Transnistria è un esempio perfetto. Questa regione filorussa della Moldova, che ha operato una secessione nel 1992 e ha vissuto una guerra breve, convive da tre decenni con circa 1.500 soldati russi sul suo territorio. La Moldova, un’ex repubblica sovietica popolata da meno di tre milioni di persone, cerca faticosamente di costruire la sua democrazia e di tracciare il suo cammino verso l’Europa, stretta tra l’Ucraina e la Romania (e dunque l’Unione europea).
Il 28 febbraio la temperatura è salita improvvisamente, in un modo che sembra pilotato da Mosca. Il primo atto è arrivato quando le autorità della Transnistria hanno chiesto la protezione della Russia contro la Moldova, accusata di “genocidio, compiuto tramite pressioni economiche, fisiche, giuridiche e linguistiche”. Il secondo atto, invece, si è compiuto quando Mosca ha dichiarato che “la protezione degli interessi degli abitanti della Transnistria, nostri compatrioti, è una priorità”. Tanto è bastato per creare una crisi internazionale e far temere il peggio per la Moldova.
Nella vicenda ritroviamo tutti gli ingredienti di quello che è successo in Ucraina: una minoranza di cittadini russofoni considerati da Mosca come “compratrioti”, una presidente moldava coraggiosa, Marina Sandu, con una posizione filoeuropea (l’Unione ha riconosciuto alla Moldova lo status di paese candidato) e infine un vuoto geopolitico con un paese che non gode di alcuna protezione.
Vladimir Putin ha davvero intenzione di annettere la Transnistria e i suoi cinquecentomila abitanti? Così facendo Mosca otterrebbe due risultati, creando un nuovo focolaio di tensione sul fianco sudest dell’Ucraina, non lontano dal porto ucraino di Odessa, e indebolendo ulteriormente la Moldova, protetta dall’occidente. In trent’anni di presenza nella regione, la Russia non ha mai compiuto questo passo, ma il contesto attuale, segnato dalla guerra in Ucraina e dalle elezioni presidenziali in Russia previste per marzo, potrebbe essere determinante.
Inutile dire che se la Russia dovesse decidere di annettere la Transnistria, la Moldova non avrebbe i mezzi per opporsi e l’occidente non sarebbe nelle condizioni di reagire. Un po’ com’è successo con la Crimea nel 2014, senza però la dimensione storica e simbolica di allora.
Per Putin significherebbe inviare l’ennesimo segnale del fatto che la Russia è totalmente indifferente alle proteste occidentali, in un momento in cui negli Stati Uniti ci sono tensioni sugli aiuti all’Ucraina e l’Europa è in difficoltà. Le divisioni emerse dopo le dichiarazioni di Emmanuel Macron sull’invio di truppe in Ucraina non smentiscono certo la tesi di Putin.
In realtà non esiste alcun motivo per cui la Transnistria dovrebbe finire al centro di una crisi internazionale: priva di grandi risorse e nelle mani di un clan mafioso, il suo vanto principale è quello di avere una squadra di calcio che continua a giocare nel campionato moldavo e dunque nelle competizioni europee. Ma al peggio non c’è mai fine, e un conflitto congelato potrebbe essere improvvisamente scongelato. A Putin, evidentemente, piace giocare con i nervi degli occidentali.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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