Chi può salvare Haiti? Le notizie che arrivano dall’isola caraibica sono sempre più catastrofiche: le bande criminali, che ormai controllano l’80 per cento della capitale Port-au-Prince, hanno assaltato due carceri e liberato 3.800 detenuti. Nel frattempo la violenza della criminalità dilaga, registrando tredici morti al giorno nel 2023. Il primo ministro ad interim Ariel Henry non riesce neanche a tornare nel paese da una visita ufficiale in Kenya.

Il capo della principale banda criminale – Jimmy Chérizier, ex poliziotto soprannominato “Barbecue” – ha lanciato un avvertimento sconcertante: “Se Haiti non diventerà un paradiso, si trasformerà in un inferno”. L’inferno è davanti agli occhi di tutti, mentre è molto più difficile immaginare il paradiso di cui parla Barbecue.

L’improvviso incremento della tensione ha una spiegazione: a ottobre del 2023, quando la polizia haitiana era sopraffatta dalle bande, il governo si è rivolto alle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato l’invio di una forza multinazionale di sicurezza composta da cinquemila uomini e guidata dal Kenya e dai suoi mille agenti, ma il problema è che dopo cinque mesi i militari non sono ancora arrivati sul posto. Intanto le bande rivali si sono alleate per rafforzare la loro posizione in vista dell’arrivo del “nemico”.

La presenza dell’Onu sarà sufficiente a ristabilire l’ordine? È lecito dubitarne. D’altronde la lunga storia degli interventi stranieri nell’isola non lascia molto spazio all’ottimismo. Anche senza citare la colonizzazione francese di cui Haiti si è liberata da più di due secoli, né la ventennale occupazione americana all’inizio del novecento, le ultime esperienze sono state disastrose.

Nel 1994 gli Stati Uniti, all’epoca guidati da Bill Clinton, inviarono ventimila uomini nel quadro di un’operazione battezzata paradossalmente “ristabilire la democrazia”. Negli anni duemila è stato il turno dei francesi, dei canadesi e dei cileni, seguiti dai caschi blu, rimasti sull’isola fino al 2019. Il bilancio di questi interventi è deludente, per usare un eufemismo.

La comunità internazionale ha promesso molto anche in occasione del devastante terremoto del 2010, ma il risultato può essere riassunto dal titolo dell’impressionante documentario del cineasta haitiano Raoul Peck Assistence mortelle, assistenza mortale.

Dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, tre anni fa, il paese ha perso qualsiasi equilibrio. Da allora è stato impossibile eleggere un nuovo presidente, e le bande hanno preso il sopravvento su uno stato in crisi.

La comunità internazionale non è nelle condizioni di aiutare Haiti. Gli Stati Uniti si rifiutano d’inviare i soldati richiesti da Henry, che oggi si trova a Puerto Rico. Washington, insieme al Canada, si accontenta prudentemente di pagare il conto dell’invio di poliziotti africani, come una sorta di assicurazione sulla vita per conservare una parvenza di stabilità a pochi chilometri dalle coste statunitensi. Gli haitiani sembrano abbandonati a se stessi mentre vivono un inferno sulla terra.

“Forse da nessun’altra parte al mondo la vita gioca così tanto con la morte ed è eroica”, ha scritto la giornalista Caroline Bourgine a proposito di Haiti. “La vita gioca con la morte” è una frase che potrebbe diventare un motto per Barbecue, l’uomo che promette il paradiso e l’inferno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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