Lasciamo da parte per un attimo il chiasso dell’attualità per rendere omaggio a un grande scrittore. Ismail Kadare è morto il 1 luglio a Tirana, capitale albanese, all’età di 88 anni. Kadare era fuggito dalla dittatura comunista del suo paese nel 1990, trasferendosi a Parigi, in Francia. La mattina lo si poteva incontrare in un bar nei pressi del Jardin du Luxembourg, dove amava scrivere.

La Francia gli aveva offerto asilo politico e soprattutto lo aveva aiutato lungo il suo percorso di scrittore in un universo totalitario. La sua è una storia eccezionale, poco conosciuta, che dà un senso ai valori di libertà e solidarietà di cui spesso ci fregiamo senza troppi meriti.

Ismail Kadare aveva stretto una relazione di amicizia e fiducia con un grande editore francese, Claude Durand, capo di Fayard, attraverso il suo traduttore Yusuf Vrioni, ex prigioniero di un gulag albanese.

Durant rischiò molto per far uscire i manoscritti di Kadare dall’Albania. Poi li depositò nella cassaforte di una banca parigina, con l’istruzione di non pubblicarli a meno che non fosse successo qualcosa all’autore; o dopo la sua morte, perché Kadare pensava che il regime comunista gli sarebbe sopravvissuto. Il regime è invece scomparso per primo e i capolavori sono usciti dalla cassaforte.

Per capire questa vicenda bisogna ricordarsi cosa è stato il regime albanese. Enver Hoxha è stato a capo di una delle peggiori dittature europee del dopoguerra, ma è stato anche ferocemente nazionalista e ha rotto con tutti quelli che hanno voluto imporgli una tutela, dagli jugoslavi di Tito ai sovietici, fino alla Cina.

Prima giornalista e poi scrittore, e in gioventù studente della prestigiosa università Gorkij di Mosca, Kadare è stato uno dei grandi nomi di un paese povero e chiuso. Ha navigato tra censura e tolleranza, protetto dalla sua fama. A volte è stato costretto a scendere a patti, per esempio quando ha scritto L’inverno della grande solitudine, opera shakespeariana sulla rottura tra Enver Hoxha e Nikita Chruščëv avvenuta a Mosca nel 1962. Kadare aveva raccontato che gli albanesi volevano il riavvicinamento del loro paese all’occidente, ma il regime lo aveva costretto a riscrivere cento pagine per cancellare quell’idea, sostituendola con la fiducia del popolo nel suo grande leader.

Cosa resta oggi di Kadare? Sicuramente una lezione universale sulla vita sotto un regime totalitario. Anche quando scendeva a compromessi con il potere (cosa per cui è stato rimproverato) lo scrittore ha descritto in modo minuzioso la vita quotidiana e i rapporti sociali o intellettuali durante la dittatura. I suoi racconti non sfigurano accanto a quelli che ci hanno lasciato i grandi autori dei regimi comunisti o fascisti del ventesimo secolo, formando una memoria indispensabile.

Ma questa memoria, purtroppo, ha finito per svanire e confondersi. È il caso dell’Albania, dove Kadare non ha il posto che merita perché il paese sta cercando di dimenticare una pagina dolorosa della sua storia. A Gjirokastër, città natale dello scrittore, è possibile visitare la sua casa-museo, e vi si ritrova l’ambiente della sua Città di pietra.

Oggi è importante leggere e rileggere Kadare e tanti altri giganti della letteratura per sfuggire a uno dei mali della nostra epoca: l’amnesia che ci minaccia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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