La guerra in Ucraina dipende anche dalla sfida tra Harris e Trump
“Spera in una vittoria dell’Ucraina?”. Il giornalista dell’emittente Abc ha rivolto per due volte la domanda a Donald Trump, che in entrambi i casi ha tergiversato, evitando di rispondere. È stato uno dei momenti più significativi del dibattito in tv fra Donald Trump e Kamala Harris, con ripercussioni che si fanno sentire a migliaia di chilometri dallo studio televisivo, ovvero lungo il fronte ucraino.
Lo sapevamo già, ma la non risposta di Trump ha confermato che in campo diplomatico non succederà niente prima del 5 novembre, data del voto negli Stati Uniti. Vladimir Putin, dunque, non ha alcun motivo di frenare i suoi attacchi contro l’Ucraina, soprattutto se ritiene che una vittoria di Trump potrebbe cambiare la situazione in suo favore.
Il candidato repubblicano si è mostrato particolarmente reticente all’idea di confermare gli aiuti statunitensi all’Ucraina, agitando lo spettro di una terza guerra mondiale, per di più nucleare. Il suo candidato alla vicepresidenza, JD Vance, è stato ancora più radicale, dichiarando che il destino dell’Ucraina gli è “indifferente”.
La prima conseguenza di queste prese di posizione è che la guerra resterà ad alta intensità per i due mesi che ci separano dalle presidenziali statunitensi. L’Ucraina occupa ancora una parte della regione di Kursk, in Russia, e ha condotto una serie di raid con dei droni perfino a Mosca. Nel frattempo i russi continuano a bombardare intensamente le città e le infrastrutture ucraine, garantendo alla popolazione un inverno terribile.
I prossimi due mesi saranno cruciali per definire i rapporti di forza. L’Ucraina cerca di riequilibrarli dopo un inizio dell’anno molto difficile. In questo senso l’avanzata di Kiev in Russia è stata positiva, ma allo stesso tempo l’esercito ucraino continua a perdere terreno nel Donbass.
Il ruolo degli armamenti è cruciale. Il 10 settembre, mentre negli Stati Uniti era in corso il dibattito, il segretario di stato Antony Blinken e il suo omologo britannico David Lammy sono atterrati a Kiev. Al centro delle discussioni ci sono state le armi e il loro utilizzo. L’autorizzazione a colpire in territorio russo è da settimane l’elemento portante del dibattito.
Kiev chiede il via libera in modo insistente. “L’Ucraina ha un bisogno vitale di utilizzare le armi disponibili contro obiettivi legittimi in territorio russo, senza ostacoli”, ha dichiarato i il ministro degli esteri ucraino Andrii Sybiha. È probabile che alla fine l’autorizzazione arriverà, nonostante le esitazioni degli occidentali.
L’obiettivo è quello di permettere a Kiev di stabilire un rapporto di forza favorevole prima di un negoziato che tutti giudicano ormai inevitabile. Nella domanda posta dal giornalista della Abc, infatti, mancava un elemento chiave: cosa significa “vittoria dell’Ucraina?”. Oggi una sconfitta dell’esercito russo è giudicata impossibile da tutti gli osservatori ragionevoli. A questo punto l’esito migliore potrebbe essere un’uscita onorevole dal conflitto che garantisca la sovranità del paese, soluzione sostenuta da molti per mettere fine al massacro.
Nell’attesa che la situazione si sblocchi, la questione ucraina ha regalato a Kamala Harris una delle battute migliori del dibattito. “Se Trump fosse stato presidente, oggi Vladimir Putin avrebbe conquistato Kiev e minaccerebbe il resto d’Europa”, ha dichiarato la candidata repubblicana. Evidentemente la guerra, oltre che nelle trincee del Donbass, si deciderà anche nei seggi elettorali degli Stati Uniti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)