Il testamento diplomatico di Joe Biden in un mondo caotico
Il 24 settembre, in occasione del suo ultimo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, Joe Biden si è calato nei panni del vecchio saggio che elargisce consigli al crepuscolo di una lunga vita. Biden ha ricordato che i momenti di disperazione del passato, sia per gli Stati Uniti sia per il mondo, sono sempre stati seguiti da giorni migliori.
È dunque un messaggio di speranza quello che il presidente degli Stati Uniti ha voluto lasciare mentre si avvicina alla conclusione della sua lunga carriera politica. Questo messaggio avrebbe potuto essere semplicemente toccante, se solo il mondo non fosse di nuovo in preda all’orrore della guerra, alle divisioni e alla disperazione. Gli Stati Uniti e il loro presidente, tra l’altro, non sono esenti da responsabilità per questa situazione.
Il discorso di Biden, sorta di testamento diplomatico, è apparso troppo vago in un contesto in cui il mondo vorrebbe che gli Stati Uniti assumessero posizioni più decise. Sul tavolo del presidente ci sono due questioni estremamente urgenti. La prima, naturalmente, riguarda il peggioramento della crisi in Medio Oriente, con il Libano che sprofonda nel caos e nella guerra. Gli Stati Uniti non sono onnipotenti, ma sono gli unici a poter avere un impatto sulla situazione. Eppure la sensazione di buona parte del mondo è che non stiano facendo abbastanza.
Alle Nazioni Unite Biden ha ribadito la richiesta che sia messa fine alla guerra di Gaza con il suo orribile bilancio di vittime, che gli ostaggi ancora in mano ad Hamas siano liberati e che i palestinesi abbiano finalmente uno stato, ma si scontra con un muro che ha un nome e un cognome: Benjamin Netanyahu. Il presidente americano, in questo senso, è sembrato rassegnato.
ll secondo tema è l’Ucraina, il cui presidente Volodymyr Zelenskyj era presente all’assemblea generale, dove ha ascoltato parole vibranti di sostegno al suo paese ma non ha ricevuto la tanto agognata autorizzazione a usare i missili occidentali in territorio russo. Il presidente ucraino dovrà aspettare il suo incontro con Biden, in programma nel fine settimana, per capire se questo ennesimo Rubicone sarà oltrepassato.
A gennaio del 2021 Biden era stato accolto con sollievo dopo la conclusione del mandato caotico di Donald Trump. Il ritorno a una presidenza rassicurante e il rinnovato sostegno al multilateralismo erano assolutamente graditi, soprattutto in Europa.
In effetti le mosse di Biden hanno permesso all’Ucraina di resistere all’invasione russa. Se alla Casa Bianca ci fosse stato Trump è molto probabile che oggi l’Ucraina non esisterebbe più.
Ma a questo punto il capo della prima potenza mondiale deve affrontare una doppia scelta cruciale: è giusto dare all’Ucraina qualcosa di più degli strumenti per sopravvivere, permettendo a Kiev di cambiare i rapporti di forza rispetto a Putin? Come essere all’altezza delle tragiche sfide del Medio Oriente, dove viene considerato un alleato di Israele?
Forse il momento più sincero del discorso di Biden è stato quello in cui ha parlato della sua decisione di non candidarsi per un secondo mandato: “Esistono cose più importanti di aggrapparsi al potere. Siamo qui per servire il popolo”, ha dichiarato. La platea, in cui erano presenti diversi autocrati avvinghiati al potere, ha applaudito calorosamente, ma questo non significa che tutti abbiano condiviso il messaggio.
(Traduzione di Andrea Sparacino)