L’Europa è la prima vittima della vittoria di Trump
Stamattina bisogna fare un grosso sforzo per non lasciarsi prendere la mano e concludere che la vittoria di Donald Trump è una vittoria anche per i leader autoritari di tutto il mondo. L’ex (e a quanto pare futuro) presidente degli Stati Uniti è imprevedibile, ma possiamo stare certi che la sua elezione cambierà le carte in tavola in un momento caratterizzato da tensioni e guerre, in un clima di conflitto che il mondo non viveva da molto tempo.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe segnare simbolicamente la fine di un’epoca. A rischio di sembrare eccessivo, direi che potrebbe essere anche la fine di un mondo che faceva già acqua da tutte le parti, quello del multilateralismo nato nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, di cui la superpotenza americana era il gendarme e il padrino, nel bene e nel male.
Per gli europei significa il ritorno di un’immagine rimasta impressa nella memoria, quella del G7 del Quebec, nel 2018: Donald Trump seduto con le braccia incrociate e l’aria di sfida davanti alla cancelliera tedesca Angela Merkel, in piedi con le mani appoggiate al tavolo e circondata da altri leader occidentali. Quel momento di confronto, colto da un fotografo, incarna un incubo che è tornato a perseguitare i sostenitori della democrazia liberale ora che Trump sembra tornare in scena in modo spettacolare.
Un mondo cambiato in peggio
Quello di oggi è lo stesso Donald Trump del passato? La campagna elettorale, segnata dalla violenza verbale e dagli eccessi, ha dimostrato che Trump non ha certo cambiato personalità. A essere cambiato, invece, è il mondo rispetto a quello del 2016, l’anno della sua prima vittoria.
Oggi sono in corso due guerre devastanti in Ucraina e in Medio Oriente, mentre la rivalità tra Cina e Stati Uniti ha continuato a intensificarsi da quando lo stesso Trump ne ha acceso la miccia, durante il suo primo mandato. In questo contesto l’imprevedibilità del futuro presidente è tutt’altro che rassicurante.
Per capire cosa ci aspetta basta vedere chi sono gli interlocutori privilegiati di Trump. All’interno dell’Unione europea il prescelto è il primo ministro ungherese Viktor Orbán, capofila degli euroscettici e leader del fan club di Vladimir Putin nel vecchio continente. Citato come esempio da Trump nei suoi raduni, Orbán è vicino alle figure dell’estrema destra che hanno plasmato il programma del candidato repubblicano.
L’Unione europea rischia dunque di risultare la grande perdente delle elezioni americane, quanto meno per come la conosciamo. Il modo in cui Trump gestirà la guerra in Ucraina (che ha promesso, ricordiamolo, di “risolvere in 24 ore”) detterà il corso degli eventi. Se il nuovo presidente deciderà di staccare la spina agli aiuti americani per Kiev o di spingere Volodymir Zelensky a negoziare in posizione di debolezza con Mosca, a pagarne il prezzo sarà tutta l’Europa.
La garanzia di sicurezza americana all’interno della Nato viene messa pesantemente in discussione dalla vittoria di Trump, che d’altronde l’aveva già minacciata in passato. Le guerre commerciali promesse dal leader repubblicano, inoltre, potrebbero far vacillare l’economia europea.
In Medio Oriente il ritorno di Trump non calmerà certo le acque. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ha mai nascosto di sperare in una vittoria del candidato repubblicano, da cui pensa di poter avere carta bianca nella sua vasta campagna militare a Gaza, in Libano e soprattutto contro l’Iran. E queste sono solo le prime valutazioni delle conseguenze del ritorno di Donald Trump in questo mondo in preda al caos.
Traduzione di Andrea Sparacino