Due luoghi, due situazioni diverse. In Siria l’esercito russo è alle prese con una ritirata umiliante: il 16 dicembre una colonna composta da un centinaio di veicoli ha potuto lasciare Damasco per evacuare circa cinquecento soldati russi che erano rimasti bloccati dopo la caduta del dittatore Bashar al Assad.

Per permettere la partenza di questi uomini e dei loro equipaggiamenti verso una base russa situata sulla costa siriana, Mosca ha dovuto negoziare con i nuovi padroni della Siria, gli stessi che l’aviazione russa aveva bombardato in precedenza. Al Cremlino, invece, Vladimir Putin non ha ancora pronunciato una parola sulla sconfitta umiliante incassata in Siria con il rovesciamento del suo principale alleato in Medio Oriente. Il 16 dicembre il presidente russo ha preferito minacciare l’occidente, accusandolo di spingere la Russia verso un “limite oltre il quale non potrà più arretrare”.

L’oggetto della rabbia di Putin è il progetto di far arrivare in Europa, nel 2026, missili statunitensi a raggio intermedio, che secondo Mosca minaccerebbero il territorio russo. Putin si è detto pronto a forzare un’escalation con i missili ipersonici Oreshnik, che ha testato il mese scorso in Ucraina.

Evidentemente esistono diversi motivi di conflitto militare tra la Russia e l’occidente, nati dal collasso negli ultimi anni di quasi tutti i trattati sul controllo degli armamenti siglati alla fine della guerra fredda. Detto questo, la tempistica è significativa. La perdita della Siria è uno dei più gravi fallimenti strategici della Russia negli ultimi tempi. A scomparire sono decenni di presenza russa nel paese, cominciati in epoca sovietica. Con questa presenza scompare anche la speranza di Mosca di ritrovare lo status di potenza mondiale.

Mosca ha negoziato il rimpatrio delle sue truppe bloccate in Siria verso le nuove basi costiere, ma il destino di queste basi non è ancora deciso, come ha confermato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Le infrastrutture in Siria hanno un valore strategico per la Russia, perché sono il suo unico avamposto nel Mediterraneo, utili per le operazioni russe in Africa condotte dai mercenari della Wagner, ribattezzata Africa corps.

Fino a qualche settimana fa il futuro appariva roseo per la Russia. L’esercito di Mosca avanzava sul fronte ucraino, Donald Trump era stato eletto con la promessa di interrompere gli aiuti a Kiev, la Georgia era rimasta nella sfera d’influenza del Cremlino, gli europei erano divisi e gli statunitensi invischiati nei conflitti in Medio Oriente. Ma la perdita della Siria ha indebolito Putin alla vigilia di scadenze cruciali, con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca tra cinque settimane e le grandi manovre diplomatiche in corso sull’Ucraina.

Per riprendersi, Putin ha deciso di minacciare gli avversari, la tattica che gli riesce meglio. Il presidente russo sa che gli occidentali si chiederanno sempre se stia bluffando o se faccia sul serio. È il suo modo per compensare i propri punti deboli. Come succede sempre nelle crisi internazionali, per la Russia le cattive notizie sono arrivate da dove nessuno se l’aspettava, da una Siria che sembrava congelata nelle sue rovine dopo un decennio di guerra civile vinta dal regime grazie all’appoggio russo e iraniano. Ma alla fine la Siria ha ricordato al mondo che Vladimir Putin non è invincibile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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