Se, in occasione della fine dell’anno, passate in rassegna cosa è cambiato nel mondo arabo nel 2021 e cosa gli riserva il futuro, è probabile che vi sfuggano le principali minacce che incombono sulle popolazioni e gli stati della regione.

Cambiamento climatico, conflitti ideologici e guerre in corso continueranno a seminare scompiglio nella maggior parte degli stati, ma ci sono anche pericoli più antichi e corrosivi a minacciare il benessere delle famiglie e l’integrità di interi paesi, come ci ha ricordato una serie di nuovi rapporti internazionali pubblicati la scorsa settimana. Una netta maggioranza di famiglie arabe – circa due terzi in settori critici come economia e istruzione – non può più soddisfare i suoi bisogni essenziali e scivola lentamente e silenziosamente nell’indigenza, nella disperazione o peggio.

Le inchieste mostrano come la pandemia di covid-19 abbia peggiorato le condizioni, già allarmanti, dei cittadini arabi nei settori che dovrebbero rendere possibile un’esistenza dignitosa: traguardi scolastici e relative competenze umane, accesso a cibo adeguato, superamento delle disuguaglianze tra cittadini, creazione di un numero sufficiente di posti di lavoro per i suoi cittadini.

Senza scuola
Le scoperte più spaventose – secondo un rapporto redatto da Unicef, Banca mondiale e Unesco sull’impatto della pandemia di covid-19 sui progressi degli stati arabi in materia d’istruzione – arrivano con la cattiva notizia che circa due terzi dei bambini della regione di età compresa tra i 5 e i 14 anni erano incapaci di leggere correttamente anche prima del covid-19. Ora questa condizione potrebbe riguardare quasi il 70 per cento di tutti i bambini, a causa delle assenze scolastiche degli ultimi due anni. La proporzione di quindicenni che hanno prestazioni scarse in prove scolastiche su standard internazionali potrebbe salire dal 60,1 al 71,6 per cento.

Questo farà sì che legioni di giovani arabi poco istruiti non saranno in grado di contribuire alle loro economie nazionali, se non come forza lavoro manuale e non qualificata nell’economia informale. Soffriranno per tutta la vita di povertà, vulnerabilità e marginalizzazione, con problemi di salute mentale, socializzazione e un benessere e una soddisfazione personale ridotti. Molti diventeranno probabilmente giovani uomini e donne allo sbando e alienati, i tipici profili candidati a entrare nei movimenti radicali e violenti che finiscono per scuotere l’integrità dei paesi e dei sistemi sociali.

Stati un tempo forti e centralizzati hanno finito per polarizzarsi e frammentarsi, alcuni addirittura esplodendo (solitamente con il contributo di un’azione militare straniera, come abbiamo visto negli ultimi anni in Siria, Iraq, Yemen, Somalia, Palestina, Libano, Libia e altrove).

La minoranza di giovani arabi che riuscirà a ottenere una buona istruzione dominerà i settori pubblici o privati oppure emigrerà per cercare una vita migliore all’estero. È quanto accade da almeno quattro decenni, con governi che non possono o non vogliono correggere le distorsioni nelle loro politiche ed economie. La cosa aggraverà ulteriormente i divari d’uguaglianza che già esistono all’interno dei paesi arabi e tra i diversi stati.

I governi non hanno generato sufficienti posti di lavoro dignitosi nel settore formale, favorendo semmai il lavoro informale, i settori a bassa produttività e il profitto delle grande aziende

Il Rapporto mondiale sulle disuguaglianze del 2022, diffuso la scorsa settimana, conferma che la regione a maggioranza araba del Medio Oriente e dell’Africa del nord (Mena) è la più diseguale al mondo. In questi territori il 10 per cento più ricco controlla il 58 per cento del reddito (contro il 36 per cento in Europa). Sembra difficile fare peggio in termini di disuguaglianza – studi dell’Onu degli ultimi anni hanno ripetutamente mostrato che i cittadini poveri e vulnerabili rappresentano due terzi della popolazione araba totale – ma la crisi del covid-19 ha addirittura peggiorato la situazione.

Povertà, vulnerabilità e disuguaglianza continuano a diffondersi nel mondo arabo, in parte perché i giovani non sono preparati a intraprendere nuovi lavori, e in parte – come dice un articolo del rispettato Economic Research Forum – perché il settore privato nei paesi arabi non crea sufficienti opportunità di un lavoro dignitoso.

La maggioranza dei giovani arabi istruiti finisce per accettare posti di lavoro informali e poco pagati, a causa delle politiche statali e delle pratiche del settore privato dai tempi delle riforme economiche degli anni novanta: politiche che non hanno generato sufficienti posti di lavoro dignitosi nel settore formale, favorendo semmai il lavoro informale, i settori a bassa produttività e il profitto delle grande aziende, che hanno a loro volta determinato una scarsa partecipazione della forza lavoro.

Non sorprende quindi che la disoccupazione giovanile in molti paesi arabi abbia raggiunto il 40-50 per cento e la situazione sembra non migliorare mai. Questi problemi strutturali sono il risultato di dinamiche più profonde e croniche, come l’instabilità politica, la scarsa efficacia dei quadri normativi e delle istituzioni preposte al mercato del lavoro, limitazioni fiscali, corruzione, e una mancanza di differenziazione economica.

Senza protezione
Gli ultimi due anni, segnati dalle pressioni del covid-19, non hanno fatto che inasprire la sensazione d’impotenza dei cittadini e le inaffidabili risposte offerte dalla protezione sociale dello stato. Persino nei paesi arabi che hanno offerto una qualche assistenza d’emergenza alle famiglie in difficoltà – come emerso in un incontro di esperti della Commissione economica e sociale per l’Asia Occidentale dell’Onu dello scorso settembre – i contributi in denaro sono stati inadeguati nella maggior parte dei casi, essendo mediamente pari a meno del 20 per cento del reddito o delle spese medie. Questi esperti sono stati unanimi nel sottolineare che la dura realtà delle famiglie arabe è dovuta alla povertà e ai relativi problemi sociali, e alle storiche barriere strutturali alla redistribuzione del reddito e a un’equa partecipazione economica e politica.

Un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), diffuso il 16 dicembre, ha rivelato che la percentuale di arabi denutriti è aumentata del 15,8 per cento dal 2014 e, fatto più allarmante, del 91 per cento negli ultimi due decenni. Il covid-19 ha aggiunto altri 4,8 milioni di persone denutrite, raggiungendo un totale di 69 milioni. Anche l’incertezza alimentare moderata o grave è cresciuta negli ultimi anni, raggiungendo i 141 milioni.

Il deteriorarsi dell’accesso al cibo ha colpito tutti i settori della società, compresa la sempre meno numerosa classe media. Il rapporto della Fao rileva che “circa il 32,3 per cento, ovvero quasi un terzo, della popolazione della regione nel 2020 non ha avuto regolarmente accesso a cibo sufficiente e nutriente”.

E, fatto non sorprendente, uno stesso campanello d’allarme risuona nuovamente nelle nostre orecchie quando la Fao dice che la fame e l’insicurezza alimentare derivano da “vulnerabilità pre-esistenti ed esposizione a molteplici traumi e pressioni come povertà, disuguaglianza, conflitto, cambiamenti climatici e altri ancora”.

In altri termini tutti questi recenti rapporti ci dicono, in modi leggermente diversi, che negli ultimi quarant’anni la maggior parte delle società ed economie arabe sono state gestite in maniera inefficiente, iniqua e spesso incompetente.

Queste tendenze delineano un quadro fosco per gli anni a venire, nel quale sempre più persone non avranno un lavoro, un reddito, la salute, l’acqua, il cibo e i servizi educativi necessari a una vita dignitosa. Per tutti i cittadini arabi risulta inoltre impossibile inchiodare i loro governi alle proprie responsabilità, e arrestare così la disastrosa discesa verso il collasso dei loro paesi, con il diffondersi inarrestabile di miseria umana.

Le conseguenze di tutto questo a lungo temine sono tanto più spaventose se si pensa che per le famiglie povere, oggi, è quasi impossibile sfuggire alla miseria e diventare classe media. I governi cui mancano i fondi, le conoscenze o la volontà necessari a ridurre la povertà e a migliorare il benessere generale dei cittadini reagiscono oggi alle sofferenze della loro popolazione con mezzi perlopiù militari, o reprimendo la liberà d’espressione e altri diritti fondamentali. Non è un caso se dal 2010 cittadini affamati, arrabbiati, umiliati e sempre più disperati nella regione hanno scatenato rivolte contro le loro élite al potere.

Altri rapporti come quelli della scorsa settimana, che confermano il peggioramento delle condizioni della maggior parte dei cittadini arabi a fronte dell’incuranza dei loro stati, lasciano presagire tempi bui sia per i cittadini sia per gli stati.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su The New Arab.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it