All’inizio sembrava una manovra senza nome. Nessun provvedimento di bandiera, salvo l’abolizione dello scatto delle aliquote iva previsto per il 2020 e che assorbe la maggioranza delle risorse. Importante certo, ma più per aver evitato un pericolo e non perché sia una proposta per il futuro.

Alla fine, però, partorito un po’ di nascosto in uno di quei vertici dove tutti sono d’accordo per poi dissociarsi il giorno dopo, un provvedimento è emerso su tutti: la tassa sulla plastica monouso, contro la quale si è scatenato l’inferno. I produttori hanno protestato, a voce e comprando pubblicità sui giornali; le opposizioni hanno giurato battaglia in parlamento, naturalmente a partire dalla Lega; Italia viva si è detta contraria, coniando un nuovo slogan, “C’è chi è No tav o No tap, noi siamo No tax”; e si è fatto sentire anche lo stato maggiore del Partito democratico in Emilia-Romagna, dove si concentra la produzione degli imballaggi e dove si voterà il 26 gennaio 2020.

La levata di scudi ha portato il governo a promettere una riformulazione della proposta per ammorbidirla, compensarla con aiuti alla riconversione, rimandarla un po’ in avanti, a debita distanza dal voto regionale.

La marcia indietro è stata anche più rapida per la proposta sulla riduzione dei benefici fiscali per le auto aziendali (articolo 78 della legge di bilancio, il più ballerino). Mentre l’altro grande tema del capitolo fiscale della manovra, quello della lotta all’uso del contante per aiutare la lotta all’evasione fiscale, è stato già in partenza edulcorato per arrivare nel decreto fiscale con una mediazione: il tetto al contante scende da tremila a duemila euro dal luglio 2020, e a mille euro da gennaio 2022. Se poi aggiungiamo anche la questione delle partite iva e dei paletti introdotti alla flat tax voluta l’anno scorso da Salvini, il catalogo delle polemiche fiscali d’autunno è al completo.

Forse più di altre volte è nello specchio delle tasse che i partiti, dal più vecchio – la Lega – al più giovane – Italia viva – mostrano o cercano la loro identità, la propria base sociale, il proprio elettorato di riferimento. Con alcune conferme, qualche incertezza e molte contraddizioni. Vediamone due, associandovi delle parole chiave.

Plastica e ambiente
Tecnicamente, è un’imposta sul consumo. E viene introdotta per i Manufatti con singolo impiego (Macsi: i dettagli sono contenuti nell’articolo 79 della legge di bilancio, com’è entrata al senato e come non ne uscirà, per esplicita intenzione dello stesso governo che lavorerà a rifare la sua stessa legge). La tassa sui Macsi, inizialmente fissata a un euro per chilogrammo, è accompagnata da alcune agevolazioni date in forma di credito di imposta alle aziende per aiutarle a riconvertirsi alla produzione di manufatti biodegradabili e compostabili. Nelle intenzioni iniziali prevedeva un gettito di 1,1 miliardi nel 2020, 1,8 nel 2021 e 1,5 nel 2022. E doveva applicarsi a tutta la plastica monouso venduta in Italia, dunque anche a quella importata; ma non a quella esportata.

Come quella sulle merendine di cui si è tanto parlato – salvo poi rinviarla, prevedendo solo un’imposta sulle bevande zuccherate, nell’ordine di dieci euro per ettolitro –, si tratta di un’imposta con uno scopo doppio. Quello di fare gettito, com’è ovvio; e quello di disincentivare usi e consumi nocivi per l’ambiente o per la salute. Prima contraddizione, tecnica e in qualche modo inevitabile: se il disincentivo funzionasse istantaneamente e totalmente, la tassa non darebbe alcun gettito. Meno funziona, e più gettito dà, poiché se continuiamo a comprare i prodotti tassati come prima le casse dello stato ne godono ma l’ambiente e la salute no. Una conferma della vecchia legge che insegnano ai corsi di finanza pubblica: ogni strumento deve avere un obiettivo, se sono due le cose si complicano.

Quando le imprese che protestano dicono che la tassa la pagheranno loro e i loro lavoratori, perché il loro business è a rischio, implicitamente stanno dicendo che 1) o non aumenteranno i prezzi e dunque soffriranno i bilanci; 2) o i prezzi saliranno e i consumatori preferiranno meno prodotti imballati e più merce sfusa o impacchettata con materiali ecocompatibili. Quella che è una contraddizione tecnica può diventare un processo a due tappe, con un iniziale introito per lo stato e una transizione, del consumo e della produzione, verso un sistema che produce meno inquinamento, come chiede del resto la direttiva europea del giugno 2019.

A guardare la mappa delle aziende della plastica in Italia, ci si accorge che la maggior parte di imprese e occupati sono in Lombardia e in Veneto. L’Emilia-Romagna, epicentro della protesta e spina nel fianco del Pd, è in terza posizione. Ma in questa regione il tema è più scottante anche perché si riflette sull’intera filiera, con il distretto che produce anche le macchine per l’impacchettamento. La critica più ricorrente è che le voci delle categorie non sono state sentite.

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Ma se le aziende della filiera difendono legittimamente il loro punto di vista e i loro interessi, qual è il punto di vista dei partiti? L’unico senza contraddizioni è, come spesso succede, quello della Lega di Salvini: mai schierata con le preoccupazioni ambientaliste, vicina a chi nega la crisi climatica, da sempre “no tax” senza se e senza ma.

Negli altri partiti le contraddizioni fioccano. I più schierati per la tassa sulla plastica sono i cinquestelle, che proprio su questo punto sembrano aver ritrovato una riconnessione con la loro originaria anima ambientalista: ma se così è, è strano che la tassa sulla plastica sia spuntata dai cassetti del ministero dell’economia in modo quasi sussurrato. Non è stata sventolata sui balconi come fu lo scorso anno per il reddito di cittadinanza.

Il Pd la difende, ma da una posizione defilata, stretto tra le esigenze di bilancio del ministro Gualtieri, la necessità vitale di non mettere in difficoltà il partito in Emilia-Romagna e l’assalto di Renzi, che ha impugnato la bandiera del “no plastic tax”. Può sembrare ovvio, politicamente parlando: il partito nuovo, nato per contendere voti al centro e anche alla destra, si vuole smarcare dall’immagine di un governo che spinge sulle tasse e accogliere le istanze dell’elettorato moderato, del mondo produttivo, delle grandi e piccole aziende.

Ovvio, anche se un po’ antico: è come se il mondo politico ed economico fosse rimasto fermo al “meno tasse per tutti” degli anni ottanta di Ronald Reagan, arrivati da noi negli anni novanta con Berlusconi. Ed ecco la contraddizione: il più giovane dei partiti dovrebbe avere a cuore, così almeno dice, le cose che hanno a cuore le giovani generazioni, tra le quali ci sono le istanze ambientali, a cui però sbarra la porta con l’opposizione alla tassa sulla plastica. Argomentando il tutto con un “serve ben altro”, che ricorda il vecchio rito della vecchia politica.

Contante e innovazione
Il ritratto dei partiti, anche neonati, resta fermo al passato anche e soprattutto se si guarda al tema della lotta all’evasione. Capitolo gigantesco della manovra, sempreverde ma assolutamente inedito nelle sue dimensioni: la stima di entrate è di sette miliardi, giudicata ambiziosa – con un eufemismo – dalla Banca d’Italia.

Nella legge di bilancio ci sono incentivi all’uso della moneta elettronica e disposizioni per aumentare la tracciabilità delle transazioni. Sulla riduzione del tetto all’uso del contante, invece, si è fatta marcia indietro rispetto alle intenzioni iniziali. Aumentato dal governo Renzi a tremila euro, il tetto sarà di nuovo abbassato, ma gradualmente e solo a partire da luglio 2020 per consentire alle banche di ridurre le commissioni sulle transazioni. Argomento fondato visti i ritardi e i vizi del sistema italiano, ma che probabilmente nasconde la volontà di allontanare un tema scomodo e poco popolare nel paese della grande, media e piccola evasione.

Anche in questo caso, la storia e l’identità di Forza Italia e Lega portano i due partiti a schierarsi contro queste disposizioni e a difendere la “libertà” di usare il contante. A volte usando argomentazioni un po’ azzardate: si è sentito affermare che il governo vuole limitare la libertà dei padri o dei nonni di regalare un po’ di soldi ai figli e ai nipoti, come se fosse normale dare tremila euro in contanti a una ragazza o a un ragazzo. Proviamo a metterci nei panni di uno di loro. Tanti conosceranno e useranno le app per i pagamenti prima ancora delle carte di credito tradizionali. Della libertà di usare i contanti – ammesso che facciano spese superiori ai mille euro tutti in una volta – non saprebbero che farsene, no?

Pazienza per Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, ma può un partito come Italia viva – ripetiamolo: nato all’insegna dell’attenzione ai giovani – parlare come se fossimo ancora solo al piccolo mondo antico della mazzetta arrotolata? La contraddizione maggiore, sulla questione dell’uso del contante, è proprio quella di Italia viva, che per bocca del leader Matteo Renzi dice al governo: “La soglia del contante a mille euro ve la votate voi”.

Ma anche tra i cinquestelle le contraddizioni sono tante. I fondatori hanno puntato molto sull’innovazione digitale, o almeno così hanno detto, eppure quando si parla di evasione credono ai vecchi arnesi metallici delle manette più che agli strumenti dell’innovazione. La minaccia del carcere, nella loro impostazione, è più efficace della tracciabilità elettronica. Quanto al Pd, sta nel mezzo, media, prende tempo, insomma fa il Pd.

Forse l’immagine deformata e contraddittoria che ci rimandano i partiti, riflessi nello specchio delle tasse, è dovuta all’eterna corsa elettorale italiana e al fatto che alle prossime politiche si voterà molto probabilmente con il proporzionale, e dunque c’è l’ansia di definire la propria identità. E non sarebbe neanche male, almeno così si intravedrebbe qualcosa, di queste identità.

Peccato però che sembrino tutte modellarsi su uno schema passato, come se non ci fossero state nel frattempo la grande crisi economica e l’emergenza ambientale. E come se il mondo del lavoro – per accennare solamente all’altro grande capitolo dello scontro, quello sulle partite iva – fosse lo stesso di un tempo, fatto di piccoli imprenditori e professionisti in cerca solo di meno tasse. In realtà, questo universo oggi è fatto anche da professionisti precari e poco liberi, e da freelance che lavorano come dipendenti e che sono pagati sempre meno.

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