Nascosta, impaurita da se stessa, dal suo blocco di scrittrice e dal mondo che la circonda, la Anne Frank di Shalom Auslander nel libro Prove per un incendio è una scrittrice alla ricerca di un nuovo successo letterario in grado di superare il numero di copie vendute dal suo celebre diario. Anne è costretta a fingersi morta in quanto, secondo il suo editore, il diario di un simbolo morto vende molte più copie.

Così Anne è condannata a restare rinchiusa all’interno dell’attico della famiglia Kugel. Qualche piano sotto vive Solomon, padre di famiglia, combattuto nel suo dilemma perenne tra il desiderio di consegnare la bizzarra inquilina alle autorità e il dovere di assistere e quindi nascondere la sua (vera o presunta) Anne Frank.

Alcune analogie le troviamo con il libro di Natan Englander

Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, i cui personaggi ebrei sono costantemente impegnati in un nuovo gioco di società, “Il gioco di Anne Frank”: bisogna scoprire chi, dei “gentili” che li circonda, sarà davvero disposto a salvarli nel caso di una seconda Shoah.

Ultimamente, dallo stesso oblio dolente, è risuscitato Adolf Hitler in un prodotto letterario molto promettente, visto che solo in Germania ha venduto in tre mesi più di 250mila copie.

In Er ist wieder da, lo scrittore-giornalista Timur Vermes fa resuscitare il grande dittatore nella Germania di Angela Merkel. Hitler, scambiato per un comico demagogico-populista, diventa in breve una star, prima in tv e poi su quello che oggi è lo strumento più attendibile per misurare la propria celebrità: YouTube, dove i suoi filmati sono sempre più cliccati. Tutte le porte a questo punto si aprono di fronte al Führer e tutte le strade portano naturalmente verso la politica.

All’uscita del libro una parte della stampa tedesca ha tirato un profondo sospiro di sollievo, celebrando la liberazione (quanto meno letteraria) dai sensi di colpa per il passato.

Ma tra i fantasmi di Anne Frank, di Hitler e gli altri spettri del passato trapiantati nel presente, mancano risposte reali a una semplice domanda: cosa cerchiamo di capire quando invitiamo i simboli della Shoah a far parte della nostra vita quotidiana? Chi sono loro e chi siamo noi, individui di una società pronta a seguire ciecamente chiunque sia in grado di ottenere centinaia o migliaia di visioni, condivisioni e “like” sulla rete?

E soprattutto, cosa resta di queste parole - per quanto ironiche, letterarie e satiriche - una volta pronunciate? Qual è l’immagine che rimane nella mente di chi non ha conosciuto uomini, fenomeni e simboli della seconda guerra mondiale? Una Anna Frank versione gioco di società? Il grande dittatore formato star del web?

E infine di cosa e di chi parliamo quando parliamo dei simboli della Shoah? La risposta, forse, è che parliamo di noi stessi.

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