Giulio Andreotti è morto nel giorno del compleanno di Sigmund Freud (era nato il 6 maggio 1856), un dato che non fa notizia e non suscita stupore nel gruppo di ragazzi all’uscita di una scuola media romana. Mentre alcuni di loro sanno qualcosa (mai abbastanza) della vita di Freud, di Andreotti, a parte che fosse italiano, non sanno dire molto altro.
Al termine di una breve, brevissima pausa di riflessione, fanno un sorriso (contenuto) di auguri a Freud, ma solo per non cadere in una banale indifferenza. Poi cercano di colmare le loro lacune rivolgendosi al tutor per eccellenza: il professor Wikipedia.
Un atteggiamento non diverso, accompagnato da una simile pausa di riflessione, è sembrato affliggere un paese intero, cauto e confuso come i suoi giornali e in parte come i ragazzi. Parlando di Andreotti i mezzi d’informazione usavano tutti gli stessi numeri: 94 anni, sette volte presidente del consiglio, undici volte eletto in parlamento, sessantasei anni da parlamentare, ventidue come senatore a vita, ventidue volte ministro. Numeri da record, usati e poi ripresi dai titolisti di quotidiani e tv di mezzo mondo.
Mentre le reazioni del mondo politico si sono focalizzate essenzialmente
sui processi (il caso Pecorelli, le accuse di mafia) e le ventisei volte in cui la richiesta di azione penale è stata archiviata, al di fuori dei confini italiani Andreotti assumeva più i contorni del Divo. Basterebbe citare la definizione fatta da Shimon Peres (“un grande amico”) e, parallelamente, quella di un portavoce del governo di Abu Mazen (“un amico della Palestina”), oppure l’unzione a “messia” grazie alla kefiah in testa) o alla colomba (israeliana, regalo della sua visita in Israele nel 1989) in mano.
Esauriti i commenti, le analisi, le speculazioni sul presente e sul passato, su Twitter l’ormai poco aggiornato #Andreotti non suscita più grandi emozioni come la coetanea “Iron lady” Thatcher, recentemente scomparsa.
“Tanti auguri” quindi, caro Sigmond Freud, celebrano i ragazzi di oggi relegando Andreotti nell’indifferenza. Una generazione che non conosce e non citerà “il potere logora chi non ce l’ha”, o “a parlare male si fa peccato, ma di solito si indovina”. Forse qualche timida speranza per evitare l’oblio potrebbe avere “a parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente tutto”. Ma questa ormai è la pura realtà. Addio Giulio Andreotti.
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