Nietzsche, per dire un nome a caso, non sarebbe d’accordo (umano, troppo umano), e non sarebbe l’unico. È troppo facile, viene quasi naturale, parlare male di Masterpiece, il nuovo reality letterario di Rai3. Talmente facile che oggi mi diletto ad andare controcorrente.
Da anni gira in rete una campagna pubblicitaria per la sopravvivenza dei libri a rischio di estinzione in una realtà fatta di reality.
Sullo stesso tono, una delle principali case editrici israeliane ha recentemente realizzato un video che “documenta” in diretta il suicidio del libro Stoner di John Edward Williams con la sigla di un reality show come sottofondo.
Tuttavia, oltre alle prevedibili critiche, il concept (purtroppo non la realizzazione) di Masterpiece è una pièce televisiva intelligente e coraggiosa che in un mare di ipocrisia e false realtà non ha paura di svelare i segreti del mondo della letteratura, fatto sempre più di numeri, di tiratura di copie e di un costante pressing degli agenti.
Di sicuro il vincitore di Masterpiece, a cui spetterà un contratto con Bompiani e la successiva pubblicaziobe in centomila copie, non entrerà a far parte della classifica di Forbes degli scrittori più ricchi del mondo, non ambirà al primo posto di EL James (Cinquanta sfumature di grigio) né a quello del giallista James Petterson, che tra il giugno del 2012 e il giugno del 2013 ha guadagnato 91 milioni di dollari. Tuttavia potrà di certo dire a se stesso - prima ancora che ai suoi futuri numerosi fan (più che altro followers…) - di essere stato il protagonista pionieristico di un nuovo genere “letterario” che va oltre al realismo; che non ha paura di ammettere che il libro, prima ancora di essere buono o cattivo, è un prodotto che può piacere o meno, ma ha bisogno di essere acquistato per sopravvivere.
Superata la prima fase, rassicurati sul mercato, il dialogo tra il libro e il suo lettore tornerà a essere intimo, personale e privato come prima. Saranno di nuovo i telespettatori a diventare a loro volta protagonisti di quella nota, delicata e unica dinamica che lega un libro al suo lettore. Un lettore buono, come lo definisce Amos Oz in Una storia di amore e di tenebra, che durante la lettura preferisce sondare “non quel terreno che sta tra lo scritto e il suo autore bensì tra lo scritto e noi stessi”, oppure un cattivo lettore, ossessivo, che vuole sapere subito “chi ha fatto quel che ha fatto, con chi, e come, e quanto”, oppure uno che si accontenta “della storia che c’è dietro la storia” e che non lascia spazio ad altro. Saranno loro, telespettatori di oggi, il lettori di domani. Buoni o cattivi che siano, almeno leggeranno!
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