“Questa non è l’Europa che mi aspettavo”, dice un cittadino etiope di etnia oromo nel primo video della serie che oggi presentiamo sul sito di Internazionale. Soccorso in mare e sbarcato a Messina, l’uomo è stato forzato a dare le impronte digitali subendo violenze fisiche e psicologiche. Non voleva sottoporsi all’identificazione perché sapeva che così avrebbe perso la possibilità di chiedere asilo altrove – secondo la convezione di Dublino, bisogna presentare domanda nel primo paese sicuro d’approdo. Ma soprattutto perché sapeva di finire incastrato nelle maglie del modello italiano di gestione dell’immigrazione.

Secondo le cifre del ministero dell’interno, 113.360 cittadini stranieri sono oggi inseriti nel sistema di accoglienza italiano. Il 70 per cento di loro è stato collocato nei cosiddetti Centri di accoglienza straordinaria (Cas), alberghi o capannoni sparsi per tutta l’Italia, spesso lontani dai centri abitati; il resto è diviso tra i Centri per richiedenti asilo (Cara), megastrutture governative dove si rimane per mesi in attesa (anche se la legge prevede una permanenza massima di 35 giorni) e i centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), dove invece attuano spesso autentici percorsi di formazione e integrazione.

Il sistema di accoglienza targato Italia è ancora segnato da una gestione poco trasparente e il più delle volte inefficace

Solo il caso determina in quale di questi luoghi finiranno le singole persone: la disponibilità di posti al momento dell’arrivo, le disposizioni del ministero dell’interno, a volte anche la necessità di fare cassa da parte di amministratori e operatori del terzo settore disonesti, come ha dimostrato l’inchiesta Mafia capitale.

In questa serie di video abbiamo cercato di raccontare i diversi strati di questo sistema “a cipolla”: gli esempi più drammatici e quelli virtuosi, le sofferenze e le gioie, le storie d’integrazione e quelle di disintegrazione. Queste ultime purtroppo sono più numerose: perché il sistema di accoglienza targato Italia, nonostante i passi avanti degli ultimi anni (come l’aumento dei posti nelle strutture dello Sprar), è ancora segnato da una gestione emergenziale, poco trasparente e il più delle volte inefficace. Spesso anche i casi con esito positivo sono bloccati da una legislazione che tiene poco conto della realtà sul terreno, come quella che impedisce la regolarizzazione di richiedenti asilo che hanno ricevuto il diniego, anche se nel frattempo hanno trovato un lavoro e si sono reinventati una vita. Perché l’immigrazione è sempre vista come un costo e un problema, invece che come una risorsa.

L’obiettivo di questi video – realizzati grazie al contributo dell’Open society foundations – è proprio questo: fornire strumenti di informazione intorno all’accoglienza, facendola raccontare in prima persona da chi è nel sistema, sia i migranti accolti sia gli operatori del terzo settore e delle forze di sicurezza, nel tentativo di contribuire a un dibattito troppo spesso dominato dalla paura e da slogan allarmistici.

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