Secondo il rapporto della Commissione europea intitolato State aid scoreboard, tra ottobre 2008 e marzo 2010 i governi europei hanno stanziato 4.131 miliardi di euro per i piani di salvataggio del sistema bancario. La cifra equivale al 32,6 per cento del pil dell’Unione a 27.
Il rischio d’insolvenza dell’Irlanda ha fatto riesplodere le polemiche sull’opportunità di salvare un paese o le banche di un paese. In uno studio pubblicato su lavoce.info, Angelo Baglioni e Umberto Cherubini ricostruiscono quello che è successo dopo il fallimento della banca d’affari statunitense Lehman Brothers, nel settembre 2008: i premi pagati sui credit default swaps (titoli che assicurano contro il rischio d’insolvenza) relativi alle banche europee e al debito pubblico dell’eurozona sono aumentati. Questo significa che da quel momento sui mercati finanziari è prevalsa l’idea che eventuali insolvenze del settore bancario sarebbero ricadute sui bilanci pubblici.
È rimasto deluso chi credeva quindi che punendo i banchieri della Lehman ci sarebbe stata più disciplina, perché la promessa implicita di salvataggio è cresciuta. Questo esempio ci dimostra che le soluzioni più drastiche non sempre funzionano, soprattutto quando si ha a che vedere con grandi istituzioni, come la Lehman.
Lo ha capito anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, che inizialmente puntava su una ristrutturazione del debito dell’Irlanda, in parte a carico del settore privato, e ora, invece, è disposta ad approvare un pacchetto di aiuti di decine di miliardi di euro.
Internazionale, numero 874, 26 novembre 2010
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