Nel 2005 i paesi dell’Unione europea avevano deciso di stanziare entro il 2010 lo 0,56 per cento del loro pil per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. All’obiettivo mancano undici miliardi di euro, visto che si è arrivati allo 0,46 per cento.
Nel 2010 gli aiuti italiani arriveranno allo 0,20 per cento del pil, il 25 per cento in più rispetto all’anno scorso. Ma, come osserva Iacopo Viciani su lavoce.info, l’aumento è dovuto più alle scelte della comunità internazionale dei donatori, alla quale l’Italia s’è allineata, che alla volontà del nostro paese.
Anzi, se non sarà perfezionata la cancellazione del debito della Repubblica Democratica del Congo, si passerà allo 0,15 per cento del pil, praticamente allo stesso livello del 2009.
In Gran Bretagna la prima finanziaria del governo di David Cameron ha tagliato le spese ministeriali del 19 per cento, ma ha aumentato di quasi il 4 per cento il bilancio per la cooperazione allo sviluppo.
In Svezia la prima finanziaria dell’esecutivo di centrodestra ha aumentato dell’11 per cento gli aiuti allo sviluppo, mantenendo la quota del paese scandinavo all’1 per cento del pil. In Francia il rapporto tra aiuti e pil è arrivato allo 0,51 per cento, mettendo Parigi in regola con gli impegni internazionali.
L’Italia invece stanzia sempre meno risorse per gli aiuti. E una buona parte di queste risorse sono obbligatorie, perché vengono stabilite e gestite dall’Unione europea. Non è certo una scelta lungimirante per un paese che vuole rafforzare sempre di più gli scambi con i paesi del Nordafrica e del Medio Oriente.
Internazionale, numero 877, 17 dicembre 2010
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