Nel 2011 la Rai ha incassato il 30 per cento dei soldi spesi per la pubblicità televisiva in Italia. Nel 2003, mentre Sky arrivava sul mercato italiano, la quota era del 40 per cento, alla pari con Mediaset. Quest’anno dovrebbe scendere al 28 per cento. Inoltre è previsto il sorpasso di Sky su Mediaset: mentre i canali del gruppo Fininvest manterranno una quota di mercato del 33 per cento, il gruppo di Rupert Murdoch raggiungerà il 34 per cento.
Molti credono che basti nominare manager capaci e autonomi dai partiti per far recuperare quote di mercato alla tv di stato, ma la crisi è più profonda di quel che sembra all’esterno. Se oggi la Rai rischia il commissariamento, è perché sono state perse quote di ascoltatori.
Come sottolinea Augusto Preta su lavoce.info, il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo si gioca su qualità e innovazione. Per un editore televisivo oggi la competizione riguarda i contenuti e la loro capacità di risultare interessanti, convenienti e accessibili in ogni momento, in ogni luogo e su ogni dispositivo. Quindi è importante che la Rai sia presente in modo efficace sul satellite e sul digitale.
Per cambiare le cose bisogna abbandonare scelte estranee alla missione di servizio pubblico e puntare su ciò di cui più ha bisogno l’azienda: la qualità del prodotto, che è cruciale in un’industria creativa come quella televisiva, e l’innovazione dei servizi sui vari strumenti (pc, smartphone, tablet o i televisori che si connettono a internet). Il tempo del duopolio è finito, ma i dirigenti della Rai faticano a prenderne atto.
Internazionale, numero 933, 27 gennaio 2012
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