Dal 1996 la regione Sardegna ha speso seicento milioni di euro per mantenere in attività le miniere della Carbosulcis. Nel 2011 il bilancio dell’azienda mineraria ha registrato gravi perdite – 25 milioni di euro – pur avendo ricevuto nello stesso periodo finanziamenti pubblici pari a 35 milioni di euro.

Il problema del carbone sardo è che contiene una percentuale di zolfo molto alta. Questo richiede diverse lavorazioni, che rendono il prodotto troppo costoso, quasi il triplo del carbone cinese. La triste vicenda dei cinquecento minatori di Nuraxi Figus è stata più volte accostata a quella dell’Ilva di Taranto. Ma come ha spiegato Marzio Galeotti su lavoce.info, i due casi sono totalmente diversi. L’enorme acciaieria di Taranto fa da contenitore a una città intera e le offre lavoro e allo stesso tempo malattie, in alcuni casi mortali.

Per il Sulcis è difficile ipotizzare un futuro, dal momento che i costi del progetto di gassificazione e del contenimento dell’anidride carbonica sono altissimi, nell’ordine di 250mila euro all’anno per ogni posto di lavoro salvato. Per quanto riguarda l’Ilva, invece, si possono pianificare interventi che consentano di continuare la produzione e tutelare la salute di cittadini e lavoratori.

La doppia vicenda rende evidente l’assenza di qualsiasi lungimiranza nella politica industriale in Italia. Mentre si apre il nuovo confronto con le parti sociali, occorre ricordare che una buona politica industriale è quella che riesce a immaginarsi l’Italia tra dieci o vent’anni.

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