Cavour l’aveva definita la tassa sugli stupidi. Tra il 1999 e il 2009 ha fatto incassare all’erario 9,2 miliardi di euro all’anno. La tassa sui giochi d’azzardo vale circa il 4 per cento delle imposte indirette. La pagano soprattutto i più poveri.
Chi, come l’ex ministro Renato Brunetta, vuole aumentare questo tipo di tasse, propone di rendere la tassazione più regressiva, facendola gravare ancora di più sui ceti meno abbienti. Come documentato da Simone Sarti e Moris Triventi su lavoce.info, le famiglie più povere spendono circa il 3 per cento del loro reddito in giochi, contro l’1 per cento di quelle più ricche.
Ma il problema più serio è che lo stato, che si propone di aumentare le entrate dalla tassazione dei giochi, ha sistematicamente incoraggiato il gioco d’azzardo. È un settore ad alto rischio di infiltrazioni criminali. Inoltre crea dipendenza: il problema della ludopatia è grave e diffuso. E si tratta di un vero ladrocinio: i giochi di pura fortuna ripetuti nel tempo portano a forti perdite di denaro, perché “il banco vince sempre”.
C’è poi un aspetto culturale: le campagne pubblicitarie diffondono una cultura della casualità e della fortuna invece di promuovere una cultura del merito e dell’impegno, unico fattore che può davvero aumentare la mobilità sociale.
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