Secondo il rapporto dell’Ocse intitolato Education at a glance 2014, l’81 per cento dei ragazzi italiani tra i 15 e i 19 anni va a scuola. La media europea (riferita a 21 paesi) è dell’87 per cento. I dati riguardano il 2012.

Il rapporto contiene stime simili per quanto riguarda il tasso di immatricolazione all’università per ragazzi tra i 20 e i 29 anni: 21 per cento in Italia contro una media europea del 29 per cento. Il fatto curioso, commentato da Daniele Checchi su lavoce.info, è che in Italia la spesa per l’istruzione è diminuita mentre la domanda aumentava. La proposta di riforma del governo Renzi contenuta nel documento “La buona scuola” segnala un’inversione di tendenza.

Dopo la stagione dei tagli lineari introdotta dall’ex ministro Giulio Tremonti c’è la volontà di tornare a spendere. In effetti la legge di stabilità prevede un miliardo nel 2015 e fino a tre miliardi nel 2016 e 2017. Ma sono soldi in parte spesi male: non solo per la stabilizzazione dei precari, ma anche per l’assunzione di 80mila nuovi insegnanti. Ce n’era davvero bisogno? Non c’è il rischio di immettere in ruolo persone non qualificate? Inoltre, ci si concentra unicamente sulla scuola ignorando l’università, che ha subìto tagli pesanti.

Gli ultimi dati comparabili, quelli dell’Ocse, si riferiscono al 2011, quando l’Italia spendeva il 3,1 per cento del pil nell’istruzione primaria e secondaria e l’1 per cento in quella terziaria, contro una media europea rispettivamente del 3,6 per cento e dell’1,4 per cento. In proporzione, quindi, chi soffre il maggiore divario di risorse rispetto agli altri paesi è il sistema universitario.

Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2014 a pagina 102 di Internazionale, con il titolo “81”. Compra questo numero | Abbonati

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