A febbraio Informer, il più popolare tabloid della Serbia, titolava “L’Ucraina attacca la Russia!”. Il suo proprietario e direttore è da decenni un amico intimo del presidente serbo Aleksandar Vučić. Questo titolo surreale non è un’eccezione nella rappresentazione giornalistica della guerra in Ucraina. Anzi, è un chiaro segno della fascinazione che Putin esercita in Serbia da molti anni. A differenza del resto del mondo, che ha condannato l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, i mezzi d’informazione sotto il controllo di Aleksandar Vučić sono passati alla glorificazione sfrenata di quei crimini.

Tabloid, portali web, quotidiani, settimanali e canali televisivi nazionali celebrano la distruzione delle città ucraine e assicurano un sostegno incondizionato alle forze armate russe affinché perseverino nella loro campagna contro il paese vicino. I direttori e i giornalisti di questi mass media votati alla disinformazione sono caduti in un profondo stato di estasi: l’uccisione dei civili, le città rase al suolo e la distruzione di chiese e monumenti li riempiono di entusiasmo.

In numerose città di tutto il mondo si sono tenute manifestazioni a sostegno degli ucraini, invece a Belgrado sono stati organizzati raduni di massa con la folla che acclamava Vladimir Putin e disegnava sull’asfalto la lettera Z (riprendendo quella presente sui mezzi militari russi). Il mondo intero rabbrividisce davanti ai servizi che mostrano in diretta i cadaveri per le strade di Buča, gli edifici in fiamme a Kiev e Charkiv, gli ospedali e le scuole demoliti, le auto bruciate, i civili che si riparano dai proiettili russi nelle stazioni della metropolitana e i milioni di profughi ucraini che lasciano il loro paese, ma i cuori dei sostenitori serbi di Putin fanno i salti di gioia. Anziché la compassione per le vittime innocenti, c’è una diffusa indulgenza per i criminali.

Neutralità impossibile
Mentre i suoi leccapiedi nei mezzi d’informazione celebrano morte e distruzione, Aleksandar Vučić finge di essere politicamente neutrale. La Serbia ha votato a malincuore per la risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite che condanna con la massima fermezza l’aggressione russa e chiede al Cremlino di cessare immediatamente l’uso della forza contro l’Ucraina, ma si ostina a rifiutare di imporre sanzioni contro la Russia. Moltissimi funzionari europei, senatori statunitensi e diversi diplomatici hanno incontrato Vučić, mettendo in chiaro che era giunto il momento di scegliere: la Serbia sarebbe stata dalla parte dell’Europa o avrebbe sostenuto la Russia? Nonostante tutte queste pressioni, Vučić mantiene la Serbia in un limbo, né in cielo né in terra. Ovviamente non si può rimanere neutrali di fronte all’atroce campagna della Russia contro l’Ucraina. Rimanere neutrali quando un carnefice massacra una vittima significa mettersi dalla parte del carnefice.

Il governo di Belgrado non ha mai rinunciato all’ideologia nazionalista della “grande Serbia”,

L’atteggiamento della Serbia nei confronti della guerra in Ucraina va ulteriormente chiarito. L’agenzia di stampa russa Sputnik e il canale televisivo satellitare Russia Today si occupano di diffondere la propaganda del Cremlino in altri paesi, invece in Serbia la maggior parte delle testate nazionali si muove come se facessero parte dell’apparato russo sotto il comando diretto di Vladimir Putin e del Roskomnadzor, l’agenzia federale russa per la supervisione dei mezzi d’informazione e il monitoraggio delle comunicazioni.

Il problema, però, non riguarda solo la sfera dell’informazione, che è già il prodotto di politiche disastrose. Il governo di Belgrado non ha mai rinunciato all’ideologia nazionalista della “grande Serbia”, il cui obiettivo è riunire in un unico stato tutte le regioni popolate da serbi in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Macedonia, e che ha portato alle guerre nella ex Jugoslavia. L’unica eccezione è stata la breve premiership di Zoran Đinđić, ma questo tentativo di ritorno alla civiltà è stato interrotto dal suo assassinio il 12 marzo 2003, compiuto dalle stesse forze che hanno scatenato le guerre e cercato di creare una grande Serbia.

Gli attuali leader politici serbi hanno partecipato attivamente all’impresa criminale comune (come fu definita dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia) nelle guerre degli anni novanta. Il presidente Vučić era un alto funzionario del Partito radicale serbo di Vojislav Šešelj, condannato per crimini di guerra. Il suo partner di coalizione Ivica Dačić, leader del Partito socialista di Serbia, era il portavoce di Slobodan Milošević, presidente serbo dal 1989 al 1997, accusato di crimini contro l’umanità per la pulizia etnica portata avanti in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Kosovo. Uno dei più stretti collaboratori di Vučić, il ministro dell’interno Aleksandar Vulin, ha cominciato la sua carriera come funzionario della Sinistra jugoslava, il partito fondato dalla moglie di Milošević, Mirjana Marković. L’attuale ministra per l’integrazione europea, Jadranka Joksimović, è stata redattrice dell’organo di stampa del Partito radicale serbo Velika Srbija (grande Serbia), il cui nome parla da sé.

Una pace provvisoria
Nessun funzionario politico in Serbia ha mai ammesso che a Srebrenica (dove nel luglio 1995 l’esercito della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina massacrò ottomila bosniaci musulmani) fu commesso un genocidio. Al livello statale non c’è stato alcun confronto con il passato. Al contrario, tutte le élite politiche, dei mezzi d’informazione, culturali, ecclesiastiche e sociali negano le responsabilità della Serbia per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. La storia recente è stata falsificata: la versione ufficiale è che i serbi sono sempre stati delle vittime, mai dei carnefici. Dopo aver scontato la pena, i criminali di guerra tornano in patria, sono accolti dai più alti dignitari dello stato, entrano nei comitati centrali dei partiti al potere e ottengono cariche di rappresentanza ben remunerate e spazio nei mass media per esporre la loro verità, una verità rimasta incomprensibile per il Tribunale penale internazionale.

Per più di vent’anni i nazionalisti hanno atteso che la Russia ingaggiasse uno scontro decisivo con il “nuovo ordine mondiale”

Nelle città di tutta la Serbia innumerevoli murales ritraggono Ratko Mladić (generale serbo-bosniaco soprannominato il macellaio della Bosnia e il boia di Srebrenica) con lo slogan “eroe serbo”. Chiunque parli dei crimini serbi è bollato come traditore e i più temerari sono subito attaccati con campagne diffamatorie e linciaggi sui giornali e i social media. Presso la procura per i crimini di guerra di Belgrado, ci sono da anni 2.500 casi in fase di indagine preliminare, con l’evidente intenzione di insabbiarli. Secondo le stime dell’Humanitarian law center, una ong con sedi a Belgrado e Pristina, in Kosovo, almeno seimila criminali di guerra camminano tranquillamente nelle strade delle città serbe senza essere mai stati condannati.

Per i nazionalisti serbi, l’attuale periodo di pace è temporaneo, proprio come i confini nei Balcani. I nazionalisti sognano ancora un grande stato serbo che comprenda Kosovo, Montenegro, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e parte della Croazia. Oggi realizzare un sogno del genere è impossibile, ma i nazionalisti sono pazienti. Dopo la sconfitta nelle guerre balcaniche, si sono ritirati nelle loro tane per leccarsi le ferite e alimentare l’odio verso i paesi vicini attraverso un’offensiva mediatica volta a mantenere la popolazione sempre all’erta e pronta a combattere. Devono aspettare il momento opportuno, quando le circostanze internazionali cambieranno: questa è una delle principali narrazioni che la propaganda russa ha preparato per il mercato serbo, ripetuta mille volte in articoli e apparizioni pubbliche negli ultimi decenni.

La resa dei conti
Per più di vent’anni i nazionalisti hanno atteso che la Russia ingaggiasse uno scontro decisivo con il “nuovo ordine mondiale” (teoria complottista secondo cui vi sarebbe un gruppo di potere che punta a controllare l’intero pianeta), che entrasse in guerra contro l’anticristo occidentale, che sconfiggesse l’Europa e gli Stati Uniti miscredenti e e che stabilisse un ordine diverso sul pianeta. Hanno riposto la loro fiducia in Putin come messia di cieli e terre nuove. Immaginano il presidente russo come una versione migliorata di Slobodan Milošević: il sovrano di un potente impero con un arsenale nucleare a sua disposizione.

L’invasione russa dell’Ucraina equivale al momento della resa dei conti finale agli occhi dei serbi innamorati di Putin: secondo loro è cominciato il grande sconvolgimento che raderà al suolo il vecchio ordine e che farà sorgere dalle sue rovine un mondo in cui sovranità, confini e trattati internazionali non avranno alcuna importanza. Al posto del diritto internazionale e di altre sciocchezze occidentali, prevarrà allora la legge della giungla, come vuole la tradizione autoritaria. E gli stati che godono del favore del sovrano mondiale che troneggia al Cremlino – tra cui la Serbia – avranno il diritto di portare a termine ciò che hanno cominciato tre decenni fa: lo sterminio e l’espulsione di altre nazioni e religioni per creare finalmente lo stato allargato che sognano da secoli e soddisfare il loro desiderio di grandezza immaginaria. Dopotutto, la dottrina nazionalista serba considera la maggior parte delle nazioni vicine come invenzioni del comunismo, tanto quanto la propaganda di Putin sostiene che gli ucraini siano stati inventati da Lenin. Sono tutti serbi, o meglio russi, sulla cattiva strada: solo che si rifiutano di ammetterlo e quindi meritano di essere puniti.

L’euforia per l’aggressione criminale della Russia contro uno stato sovrano può sembrare strana ai non informati, ma per chi vive nel cuore delle tenebre è logica e prevedibile. In un paese dove gli eroi sono Slobodan Milošević, Radovan Karadžić e Ratko Mladić, è ovvio che anche Vladimir Putin o uno dei suoi macellai che uccidono i civili a Irpin, Mariupol e Charkiv siano considerati degli eroi. L’opinione pubblica serba, per lo più convinta che i due massacri nel mercato di Sarajevo nel 1994 e nel 1995 siano stati delle messe in scena e che i cadaveri smembrati fossero in realtà dei manichini, crederà facilmente allo stesso tipo di propaganda sui civili massacrati a Buča. Se le iene dei media deridono regolarmente le vittime del genocidio di Srebrenica nei programmi televisivi in prima serata, perché non dovrebbero gioire vedendo le vittime dei crimini di Putin? Come disse tre decenni fa il grande scrittore e pensatore serbo Radomir Konstantinović: “Viviamo (se questo è vivere) in un mondo dove il mostruoso sta diventando naturale, e il naturale mostruoso”. Ancora oggi, purtroppo, la sua diagnosi è più precisa che mai.

(Traduzione di Davide Musso)

Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con Voxeurop. Fa parte della serie La guerra alle porte.

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