La pirateria è viva e fin troppo vegeta, anche se di solito agisce lontano dai Caraibi e nessuno dei suoi protagonisti somiglia a Johnny Depp. I lanciarazzi hanno sostituito i vecchi cannoni e il tesoro spesso è costituito da un carico di sigarette o di apparecchiature elettroniche in partenza da Singapore. L’epoca dei lingotti d’oro che viaggiavano dalle colonie spagnole dell’America Latina all’Europa è decisamente finita.
Da anni l’Indonesia è il centro della pirateria moderna. I pirati salgono a bordo delle navi all’ancora, minacciano con le armi l’equipaggio e si portano via tutto quello che trovano nella cassaforte. Lo stretto di Malacca, tra l’isola indonesiana di Sumatra e la costa occidentale della Malesia, è diventato molto pericoloso. Gli esperti sostengono che prima o poi una nave container potrebbe attraversare a gran velocità quel congestionato braccio di mare senza nessuno al timone: tutto l’equipaggio sarà impegnato a respingere un attacco.
Le acque al largo del Corno d’Africa, soprattutto quelle dello stretto canale che separa la Somalia dallo Yemen, sono un altro punto caldo. Perfino le navi che trasportano gli aiuti delle Nazioni Unite vengono attaccate dai pirati. Negli anni novanta la Cina è stata per un periodo la destinazione finale di un buon numero delle navi catturate, che venivano scaricate nei porti con l’aiuto di funzionari corrotti.
Le imbarcazioni private prese di mira dai pirati sono di solito yacht. In questi casi i criminali si limitano a piccoli furti, anche se è capitato che, durante gli assalti, uccidessero i membri dell’equipaggio. Nel 2005 una nave da crociera in rotta per le Seychelles è stata attaccata al largo della Somalia. Nonostante le loro armi automatiche, i pirati sono stati respinti con un mezzo altrettanto moderno: un idrante.
Internazionale, numero 746, 30 maggio 2008
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