Una storia minima che per ora pare a lieto fine. Dall’anno scorso una signora congolese incinta, convinta che l’istruzione sia una necessità, fa sei ore di viaggio al giorno per portare i suoi bambini a scuola nel quindicesimo arrondissement di Parigi, andando su e giù da Rubelles.
In questo piccolo comune in espansione demografica si trasferiscono centinaia di immigrati, come appunto la signora congolese. Ha buone scuole, ma il sindaco, Jacques Baumann, si è opposto a lasciar iscrivere a scuola i figli della signora congolese e altri diciotto bambini profughi ceceni e ingusci o immigrati singalesi fra i tre e gli undici anni. Motivo: non abbiamo soldi per fronteggiare l’arrivo di bambini di tante lingue diverse.
Gli immigrati si sono impegnati nel girotondo tra gli uffici. Niente da fare, il sindaco si oppone. La signora del Congo s’è rassegnata, gli altri no. Amnesty e il Réseau éducation sans frontières il 3 maggio hanno organizzato una manifestazione di protesta davanti alla prefettura di Seine-et-Marne. Silenzio del prefetto.
L’11 immigrati e associazioni riescono finalmente a farsi ricevere in prefettura. Oh miracolo: viene esibita una lettera del prefetto che con toni ultimativi richiama il sindaco ai suoi doveri istituzionali. La smetta di opporsi e faccia iscrivere i bambini a scuola. Vittoria? Pare. Curioso che la lettera letta l’11 sia datata 7 maggio, dodici ore dopo l’ormai accertata vittoria di François Hollande. Lieto fine oppure, forse, miglior principio.
Internazionale, numero 949, 18 maggio 2012
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