Anche in Portogallo quel che si temeva è avvenuto. Per risanare il deficit di bilancio il governo di coalizione del socialdemocratico Pedro Passos Coelho ha tagliato pesantemente gli investimenti nell’istruzione e bloccato le assunzioni. In gennaio 25mila insegnanti sono scesi in piazza a Lisbona per protestare e i sindacati hanno denunciato un “attacco contro la scuola pubblica a favore degli istituti privati”. La politica dell’attuale governo compromette una tendenza positiva che si era andata affermando.
Tra i paesi dell’Unione europea il Portogallo, superato solo da Malta, è segnato da un’alta quota di analfabeti e di bassa scolarità adulta maggiori che in Italia, Grecia e Spagna. Dai primi anni duemila il paese aveva scelto di reagire. Era stata avviata un’accorta politica di sviluppo dell’istruzione: rafforzamento della scuola preelementare, introduzione delle tecnologie nelle aule, deciso miglioramento della formazione in servizio degli insegnanti, anche attraverso la pratica di test d’apprendimento svolti dagli allievi in corso d’anno con retroazioni positive sugli stessi insegnanti.
Le ultime indagini comparative dell’Ocse hanno mostrato i primi frutti: i quindicenni portoghesi hanno raggiunto la media europea da cui erano stati finora lontani. Il paese stava crescendo. Vogliono fermarlo. Verrà mai giorno in cui un’Europa davvero unita e consapevole d’esserlo chiederà conto dei guasti che queste politiche di contrasto all’istruzione stanno provocando con danno di tutti?
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