Sono stanco. La scuola non mi piace affatto. Il primo giorno sono scappato a casa dopo la prima ora di lezione. Mi hanno messo al banco insieme a Butuşină, zingara come me, e gli altri bambini non sono per niente entusiasti all’idea di giocare con noi. Butuşină è sporca e non ha un buon odore. Anche io faccio il bagno una volta alla settimana, ma almeno i miei vestiti sono immacolati, visto che mia madre è ossessionata dalla pulizia.

Devo fare i compiti. Ho una penna stilografica sgangherata che lascia ovunque tracce d’inchiostro. Ho riscritto il compito per ben quattro volte ma il risultato è sempre pessimo. È un lavoro assurdo: io leggo già molto bene e non ho nessuna voglia di fare le asticelle. È noioso e brutto.

Metto il muso. Arriva mia madre. Le dico che non posso. Ma per lei le parole “non posso” non esistono, esiste solo “non voglio”: è una cosa che mi ripeterà all’infinito. Non ci sono scuse. Devo fare il compito. Vista l’avversione che il mio sedere ha per l’enorme cucchiaio di legno che mia madre brandisce con l’abilità di una cintura nera, decido che ce la posso fare. La maestra è impressionata dal risultato. E mi sposta al primo banco. In quarta elementare divento capoclasse.

Di nuovo a casa
Ma torniamo a oggi. Oana (è un nome inventato) ha tredici anni. La conosco da quando ne aveva sette. È il primo anno che frequenta la scuola. Non credevo che sarebbe mai andata a scuola. Suo papà è tossicodipendente. Non mi capacito di come sia ancora vivo. Si guadagna da vivere vendendo siringhe agli altri tossici del viale, qualche decina. La mamma di Oana è piccolina e da un occhio non ci vede quasi per niente. Anche lei è stata tossicodipendente, ma ne è uscita. Ha un’incredibile capacità di sopravvivere in condizioni estremamente dure. Mi ha insultato per anni, decine, centinaia di volte.

Il loro figlio maggiore, un ragazzino con una leggera disabilità, una volta si è messo in mezzo per difendere il padre durante una rissa. Ha avuto paura e ha preso in mano un coltello. L’uomo che stava cercando di strangolare il padre era in astinenza, non ha nemmeno fatto caso al coltello. Alla fine il ragazzino l’ha colpito ed è finito in carcere. Adesso è di nuovo a casa.

I genitori di Oana hanno pure un figlio più piccolo. Anche lui con disabilità.Vivono in condizioni inimmaginabili. Ho provato a comprargli diverse cose, ma ogni volta che avevano bisogno di soldi le vendevano. Mi hanno preso per anni per uno stupido che potevano fregare, un dipendente di un’ong che faceva soldi sulle loro spalle e dava loro le briciole che gli rimanevano dopo essersi arricchito.

Il libro affascinante
Il pettegolezzo più divertente che si era diffuso nel quartiere era che guadagnavo vendendo le loro foto. Da qualche anno, però, le cose sono cambiate. Non vendono più i vestiti e le scarpe che compro per i loro figli. E neanche le lavatrici. I bambini sono abbastanza puliti e ci sono periodi di tempo abbastanza lunghi in cui non hanno pidocchi. Sicuramente aiuta il fatto che ogni due o tre mesi distribuiamo lo shampoo curativo. Finalmente hanno capito che non faccio parte di un’ong e che i soldi sono nostri e non dell’Unione europea o presi chissà dove.

Nei giorni scorsi Oana è rimasta affascinata dal libro che stava leggendo: è rimasta incollata alle pagine per due ore di fila. Quattro anni fa, quando è venuta al centro per la prima volta, non riusciva a stare ferma per più di due minuti nello stesso posto. Non conosceva i numeri e nemmeno le lettere. Era sempre sporca e indossava scarpe vecchie e rotte.Oggi va a scuola. È vestita bene ed è molto bellina.

Ci sono decine di storie simili sui bambini che vengono ogni domenica a fare i compiti al centro che gestiamo nel quartiere di Ferentari, a Bucarest. I loro genitori continuano ad avere problemi e non sono neanche lontanamente dei padri e delle madri ideali. Ma stanno sicuramente meglio.

Ogni domenica vengono ad aiutarci diversi volontari. Persone di successo, dai bancari ai medici. Domenica scorsa Zîna non aveva troppa voglia di fare i compiti di matematica. A un certo punto, furiosa, mi ha detto che non poteva. Nicuşor, un bambino di sei anni, l’ha sentita e le ha detto: “Non esiste ‘non posso’, esiste solo ‘non voglio’”.

Oana se ne sta ancora seduta vicino a noi, tutta presa dal suo libro. Nicuşor è felicissimo perché ha imparato a fare le addizioni fino a venti e le sottrazioni a una cifra. Zîna corruga la fronte e comincia a leggere da capo. Arriva alla fine senza fare errori. In Romania le cose miglioreranno. E questa trasformazione avverrà nonostante la classe politica. L’importante è voler cambiare il paese. Che si possa fare, questo è certo. La conferma ce l’ho davanti ogni settimana quando lavoro con i bambini di Ferentari.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è uscito sul settimanale romeno Dilema Vece.

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