Frammenti di memoria. È inverno e cerco con tutte le forze di spegnere un fuoco che dista un centinaio di metri da me. Alcuni operai stanno fondendo del catrame. Ho appena imparato a spegnere le candeline esercitandomi per il mio compleanno. Avrò probabilmente un paio d’anni, e provo a soffiare quanto più forte posso sul vetro della finestra, nella speranza di spegnere il fuoco che vedo in lontananza. Ma non ci riesco e mi metto a piangere. Mamma mi prende in braccio. Il suo odore è il più buono del mondo.
Un altro ricordo. Ho sei anni e ci siamo appena trasferiti a Craiova. In preda a uno dei suoi momenti di smania per la pulizia, mia madre è impegnata a far brillare la casa. Sono più scuretto del solito perché i giorni prima del trasloco sono stato tutto il tempo all’aperto, sotto il sole. Vorrei giocare con gli altri bambini, ma mi accorgo per la prima volta di essere uno “zingaro pidocchioso”.
Zingaro, in qualche modo, so di esserlo, ma di pidocchi non ne ho, e non ne ho mai avuti. Considerata la quantità di gasolio che mia madre adopera per lucidare i pavimenti di casa e per pulire i capelli a noi bambini, potremmo tranquillamente aprire una piccola raffineria. In più, nella strade di Balta Sărată, il posto dove trascorrevo la maggior parte del mio tempo prima di trasferirmi, essere zingaro era una cosa positiva, perché Villy, il capobanda, parlava il romanì.
Rattristato perché nessuno vuole giocare con me, trattengo le lacrime e il moccio fin quando arrivo a casa. Mamma mi prende in braccio e mi racconta la storia di un orso bruno che, a forza di lavorare, riesce a farsi accettare dagli orsi bianchi. Mi spiega che bisogna avere pazienza ed essere buoni, e mi dice che andrà tutto bene. Siamo già poveri in canna, ma mio padre è un ubriacone e spende tutti i soldi per comprare alcolici e attrezzi che servono per produrre alcolici.
Noi ragazzini abbiamo imparato a capire quando mia madre sta per cadere vittima della sua smania lucidatrice. E ci nascondiamo
Nel nostro condominio ci sto bene, mi sono fatto degli amici e sono diventato famoso perché gioco bene a calcio e a ping-pong. Mia madre, a un certo punto, decide che non è il caso di morire di fame, così convince zio Nini a portarci due galline e un gallo. Una delle galline fa subito i pulcini, grazie ai quali divento l’attrazione principale per tutte le ragazzine del vicinato. Il gallo, invece, è un problema, dato che ogni mattina sveglia tutto il palazzo. Ma mia madre è troppo tosta, e nessuno si azzarda a discutere con lei.
Dal vicino del piano di sopra apprendo chi fosse il generale Antonescu e comincio a capire i rapporti che intratteneva con la nostra stirpe. Imparo una nuova parola, grijania (un’imprecazione molto popolare in alcune parti della Romania), e vado a chiedere a mia madre cosa significhi. Impassibile, mia madre va da compare Ionescu e gli dà una bella lezione. Dopo questa storia Ionescu prenderà in simpatia mia madre e la tratterà sempre con il rispetto dovuto a una vera arpia che però sa fare le punture.
Uno strumento popolare
La mamma trasforma il nostro scantinato in una dispensa piena di barattoli di verdure in salamoia, circostanza che le fa guadagnare il rispetto di tutte le pettegole del palazzo. Fa punture a chiunque ne abbia bisogno (forse è da qui che viene la mia predisposizione a fare volontariato) e la nostra casa diventa una specie di incrocio tra un ambulatorio, una cucina comune e un luogo d’incontro per la gente del vicinato. A un certo punto viene messo in funzione anche un affumicatore. Il risultato è che compare Mirescu ci augura di andare a quel paese, noi e la carovana zigana che immagina possa presto comparire davanti all’ingresso del nostro palazzo. Mia madre lo viene a sapere e gli risponde a tono, spiegandogli che sua moglie è la più nera del palazzo e che Dutu e Radu, i suoi figli, sono anche loro di stirpe nomade. La cosa mi rallegra perché Dutu e Radu sono i miei migliori amici.
L’affumicatore si rivela un strumento molto popolare, così mia madre decide di mettersi a fare anche il sapone davanti al palazzo. Compra un mestolone di legno, che diventa la principale minaccia per il mio sedere sempre alla ricerca di nuove avventure. E prende possesso degli spazi davanti e dietro al palazzo, dove organizza un bell’orticello. Ovviamente gli abitanti del condominio che vogliono farsi passare per gente sofisticata e di città storcono il naso (qualche tempo dopo, invece, verso la metà degli anni ottanta, quando ci si sarebbero torte le budella per la fame, il suo modello sarebbe stato seguito un po’ da tutti).
Mia madre ha un’energia infinita e si mette a ritinteggiare anche le scale del palazzo. Noi ragazzini abbiamo imparato a capire quando sta per cadere vittima della sua smania lucidatrice. Quando succede corriamo tutti a nasconderci. Dopo che mia sorella si sposa e va ad abitare a una ventina di minuti da casa nostra, divento uno specialista nel dileguarmi ai primi segnali di pulizie incipienti.
Mia madre non accetta nessun tipo di scuse. Per farcela, devi lavorare di più e meglio di chi ti sta intorno, mi dice. E in effetti lei lavora duro, fino a diventare capo infermiera in uno dei più importanti ospedali della zona. È minuta, piuttosto scura, ed è circondata da ubriaconi e da ragazzini: tutte persone che dipendono da lei e che non osano contraddirla. Sarà per questo che trascorro l’adolescenza immerso in un continuo lavaggio del cervello sul dovere di lavorare tanto e sul fatto che non esiste la frase “non posso”.
Qualche giorno fa mia madre mi ha telefonato per spiegarmi come devo proteggermi dal covid-19. Nonostante i suoi 82 anni, scoppia di energia. E ha la testa perennemente occupata da mille cose: organizzare il giardino, fare le pulizie, cucinare, parlare con amici e parenti. Sono sicuro che insieme alle sue amiche si è organizzata per sfruttare al meglio questi giorni da passare in isolamento. Non si è lamentata di nulla e mi ha detto di non stare in pensiero per lei, perché sa come cavarsela. Avrei tanto voluta abbracciarla, ma sicuramente non me lo avrebbe permesso: per mia mamma, le regole sono regole.
(Traduzione di Mihaela Topala)
Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale romeno Dilema Veche.
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