Negli ultimi sei anni la parola “Siria” è diventata sinonimo di guerra e profughi. Le notizie sulla Siria hanno riempito le prime pagine dei giornali. La devastazione del paese è entrata nell’immaginario delle persone di tutto il mondo.
Qual era il motivo di questa guerra? Come aveva fatto un paese, all’apparenza stabile, a sprofondare così velocemente nel caos? E che ne è stato dei milioni di siriani costretti a fuggire così rapidamente dalle loro case, nascondendosi con i loro familiari all’interno del paese o scappando all’estero nei campi profughi in Giordania, Libano e Turchia?
Oggi è tutto cambiato. Ormai la guerra in Siria, come i negoziati di pace e i profughi, interessa molto poco. Pochi mezzi d’informazione diffondono con regolarità notizie sulla crisi. Si registra un certo interesse solo per l’odioso muslim ban dell’amministrazione Trump.
Gli ingressi di profughi negli Stati Uniti sono scesi dell’83 per cento, e a quelli siriani è stato virtualmente vietato l’ingresso nel paese. Dei migranti accettati dall’amministrazione Trump a partire da ottobre, il 60 per cento è cristiano. Il muslim ban continua a fare notizia, ma non i problemi dei siriani che hanno lasciato il paese.
A che punto è la guerra
Il presidente russo Vladimir Putin ha recentemente dichiarato che la guerra contro il gruppo Stato islamico (Is) è conclusa su entrambi i lati del fiume Eufrate. Raqqa, la città che l’Is aveva trasformato nella sua capitale, rimane in macerie, con decine di migliaia di bombe inesplose in tutta la città. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che i combattenti dell’Is si sono spostati nel deserto del Sinai, in Egitto, anche se l’istituto egiziano Dar al Ifta sostiene che si siano trasferiti in Libia. I problemi creati dall’Is sono stati esportati dalla Siria settentrionale al Nordafrica.
Nell’ovest della Siria la guerra non è finita. L’esercito siriano continua a strappare terreno all’indebolito Hayat tahrir al Sham (Hts), una formazione nata da Al Qaeda ma che di recente ha provato ad avere ancora un peso nel paese.
Negli ultimi mesi sono stati assassinati diversi predicatori e leader, spesso sauditi, di Hts, abbandonato dai suoi principali sostenitori nella regione, tra cui la Turchia. L’ultimo grande gruppo armato in Siria è in preda alla confusione e questo ha permesso all’esercito di Damasco di strappargli rapidamente terreno. Non è chiaro, inoltre, se Hts sarà in grado di rompere i legami con Al Qaeda.
Mentre in Siria le armi vengono progressivamente messe a tacere, a Ginevra continuano i tentativi di negoziare la pace. I funzionari delle Nazioni Unite vorrebbero il consolidamento e forse l’aumento delle zone liberate dal conflitto, cioè le aree dove il governo e l’opposizione acconsentono ad abbandonare le armi.
L’Onu ha dichiarato che il 2016 è stato l’anno peggiore per i bambini siriani
La crisi continua a paralizzare le vite dei siriani. Oltre cinque milioni di siriani si sono aggiunti alla popolazione, già ampia, di profughi nel mondo. All’interno del paese 13 milioni di persone vivono in stato di necessità. L’Onu ha dichiarato che il 2016 è stato l’anno peggiore per i bambini del paese. Tre milioni di bambini non vanno a scuola. È impossibile calcolare il numero totale dei morti. L’assistenza sanitaria rimane in condizioni disperate. La speranza di vita media è crollata di quindici anni.
Eppure, allo stesso tempo, in Europa e negli Stati Uniti i sentimenti di ostilità nei confronti dei profughi, in particolare di quelli musulmani, hanno raggiunto livelli altissimi. Lo scorso mese l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha avvertito che il 10 per cento dei rifugiati siriani che vivono in Giordania, Libano e Turchia sono in condizioni di vulnerabilità. È incredibile che in questi sei anni, solo il 3 per cento dei quasi cinque milioni di profughi che vivono in questi tre paesi si è trasferito in occidente. La Turchia ospita quasi tre milioni di rifugiati siriani registrati ufficialmente. In Libano un abitante su cinque è un profugo siriano. Questi paesi sono stati travolti dalla crisi.
È vero che più di mezzo milione di siriani è tornato nel paese d’origine. A mano a mano che la guerra si avvicina a una conclusione, tanti profughi siriani sono tornati nelle loro case o perlomeno nel paese. La maggior parte è rientrata dal Libano verso i villaggi e le città della Siria occidentale. Secondo l’Onu la situazione non è ancora abbastanza stabile per rimpatri sistematici. Tuttavia Hezbollah ha garantito che la zona delle montagne del Qalamoun, nella Siria occidentale, è sicura e molti siriani vi hanno fatto ritorno.
La difficile riconciliazione
La Turchia ha chiarito che non è più necessario rovesciare il governo di Bashar al Assad. Simili posizioni sono state assunte dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali. L’Arabia Saudita e altri stati del Golfo sono troppo impegnati a risolvere le loro crisi. Il sostegno logistico e politico alla ribellione armata ha raggiunto il livello minimo dal 2011.
Il processo di ricostruzione politica continuerà via via che apparirà chiaro che Assad resterà al potere. Ma il problema sarà la riconciliazione. Sarà necessario raggiungere vari accordi politici affinché le fazioni siriane abbiano un loro spazio all’interno del paese e, com’è apparso evidente durante la conferenza dell’opposizione siriana del mese scorso organizzata dall’Arabia Saudita, non è palese se il governo di Damasco, ormai sicuro della vittoria, sia pronto a fare concessioni. La Russia ha apertamente suggerito ai suoi alleati la necessità di un’apertura nei confronti dell’opposizione.
Intanto si scatenano gli appetiti intorno alla Siria per vincere i contratti di ricostruzione del paese. Iraniani e russi sono pronti a investire. Le banche libanesi e i costruttori di strade brasiliani si metteranno in gara. Sarà importante che il popolo siriano sia al centro degli sforzi di ricostruzione. Non solo di quella fisica, ma anche di quella politica.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Alternet.
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