“Sì, è audace, ma possiamo farcela”. Così ha dichiarato il presidente Joe Biden, lanciando il suo piano da duemila miliardi di dollari per modernizzare le infrastrutture degli Stati Uniti, con misure che vanno dalla riparazione delle strade al restauro di ponti, porti e sistemi idrici fino alla care economy, l’economia informale legata alla cura delle persone in casa, e al taglio delle emissioni. Altri duemila miliardi dovrebbero essere investiti per l’assistenza ai bambini, l’istruzione e la sanità, tutti sulla scia del piano di aiuti da 1.900 miliardi di dollari approvato poche settimane fa.
La portata di queste misure fa girare la testa. Storici e politici stanno già paragonando il piano al new deal di Roosevelt o alla Grande società di Lyndon Johnson. I democratici di sinistra sono increduli. Bernie Sanders ha dichiarato che questo piano è “il provvedimento legislativo più significativo per i lavoratori approvato da decenni”. Robert Kuttner, uno dei fondatori della rivista progressista American Prospect, ha scritto che “i democratici hanno ritrovato la loro anima”.
A lasciare sbalorditi il partito e gli osservatori esterni è l’improvvisa audacia di un moderato di 78 anni come Biden. Dopotutto l’attuale presidente aveva appoggiato la terza via di Bill Clinton ed era stato un sostenitore della responsabilità di bilancio sia sotto Clinton sia sotto Obama, quando il debito nazionale era due terzi di quello odierno. Ma oggi il debito non può più essere un ostacolo ad ambiziosi progetti economici e sociali. Se Trump e i repubblicani possono disinteressarsene per ridurre le tasse dei ricchi, i democratici possono disinteressarsene per dare a ogni bambino statunitense tremila dollari all’anno.
Resta la domanda: perché? La risposta sta nell’uomo, nelle persone che lo circondano e, più di tutto, nel momento storico
Non è, in realtà, totale disinteresse. Grazie alle pressioni dei democratici più moderati, i lavori alle infrastrutture dei prossimi anni dovrebbero essere pagati con un aumento delle tasse, anche se in una prima fase saranno finanziati prendendo denaro in prestito. Le tasse alle aziende saranno alzate fino al 28 per cento; un’aliquota minima sarà applicata a tutti i profitti aziendali nel mondo, e a queste misure si affiancherà una caccia ai paradisi fiscali. Se altri hanno idee migliori, dice Biden, si facciano avanti, ma non devono esserci altre tasse sui cittadini con un reddito inferiore ai 400mila dollari all’anno. Una definizione generosa della classe media, riflesso dell’ampiezza della coalizione che il presidente sta costruendo. Ma dieci anni fa i democratici avrebbero rigettato un aumento delle tasse di queste proporzioni.
Si tratta comunque di un grosso rischio, soprattutto vista la maggioranza risicata che i democratici hanno alla camera e al senato. Di fronte all’opposizione repubblicana, ai democratici serve un’unità che Biden sta orchestrando in maniera brillante. Gli anni passati a Washington gli hanno insegnato come fare accordi. Il presidente ha elogiato con lungimiranza Sanders, a sinistra, per aver “gettato le fondamenta” del programma, e ha lusingato un centrista come Joe Manchin. Ora la cosa difficile sarà trasformare il programma in legge.
Resta comunque la domanda: perché? La risposta sta nell’uomo, nelle persone che lo circondano e, più di tutto, nel momento storico. Le radici di Biden affondano nella classe operaia. Le sue politiche, segnate da tragedie personali e impregnate del suo cattolicesimo, sono animate dall’empatia verso le persone comuni. È vero che si è circondato di economisti straordinari come la segretaria al tesoro Janet Yellen, ma Biden è influenzato allo stesso modo dalla politica sociale sempre più radicale della chiesa cattolica.
A far funzionare la sua diplomazia così bene è anche l’eredità di Trump, capace di compattare i democratici e al tempo stesso di dividere i repubblicani. Biden è consapevole dei pericoli delle elezioni di metà mandato del 2022, avendo visto i suoi predecessori perdere il controllo della camera o del senato. La sua scommessa è che il piano – dimostrando che è nell’interesse della maggioranza degli statunitensi avere un governo interventista – terrà i repubblicani a distanza di sicurezza. Ma a trainare il cambiamento è stata soprattutto la pandemia, che ha mostrato quanto è precaria la vita degli statunitensi e ha ridato legittimità all’idea stessa di governo: è la Casa Bianca a essersi procurata i vaccini ed è sempre lei a sostenere il reddito dei cittadini.
Negli Stati Uniti il capitalismo senza freni era diventato troppo monopolistico. Da politico astuto, Joe Biden ha letto i segni dei tempi, e ha azzerato tutto. Aspettiamoci altre riforme in materia di commercio, aziende e finanza, e un rafforzamento dei sindacati. C’è la possibilità concreta che il presidente riesca a far approvare i suoi programmi, e che questi funzionino. Gli esponenti più incendiari della sinistra possono anche far presa su quelli più leali al partito. Ma serve un Biden per vincere le elezioni e portare risultati concreti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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