All’Avana c’è un gruppo di donne legato dalla sofferenza e dall’attesa, scrive Yoani Sánchez.

Una fredda brezza di febbraio spazza la Quinta avenida, nella zona ovest dell’Avana. Più di trenta donne vestite di bianco percorrono l’ampio viale con dei gladioli in mano. Si fermano a un incrocio per gridare più volte la parola libertà.

Alcuni passanti applaudono. Altri evitano di avvicinarsi per non essere ripresi dalle videocamere e dalle macchine fotografiche che intimidiscono tutti con i loro occhi di cristallo. Sono le Damas de blanco, le signore in bianco: mogli, madri e figlie di prigionieri politici condannati a lunghe pene.

La chiesa di Santa Rita, paladina dei casi impossibili, accoglie ogni domenica la preghiera di queste donne. Nella spaziosa cappella s’intravede il chiarore dei loro vestiti mentre pregano per il marito che si è ammalato nel freddo di una cella o per il figlio che ha perso la gioventù nell’attesa di un’amnistia. La primavera nera del 2003 le ha unite nel pianto e in queste lunghe passeggiate. Durante l’invasione statunitense dell’Iraq, il governo di Fidel Castro ha deciso che era arrivato il momento di arrestare un centinaio di oppositori e di giornalisti indipendenti per poi processarli in base alla temibile legge 88, più nota come legge bavaglio.

Il mese prossimo cadrà il settimo anniversario di quei processi sommari. In questi sette anni le signore in bianco non sono diventate un partito, ma hanno formato un gruppo legato dalla sofferenza e dall’attesa. Con la loro resistenza hanno dimostrato come i processi politici basati su logiche maschili possano diventare ridicoli quando a opporsi sono delle donne con dei gladioli in mano che camminano lungo un viale.

Yoani Sánchez è una blogger cubana. Il suo blog è tradotto in quattordici lingue, tra cui l’italiano. Vive all’Avana, dove è nata nel 1975. In Italia ha pubblicato Cuba Libre (Rizzoli 2009). Scrive una rubrica settimanale per Internazionale.

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