È un pantano da cui è difficile uscire quello in cui si sono ritrovati il governo iracheno e in particolare il primo ministro Haider al Abadi. Sono tre le sfide importanti da affrontare in questo momento.

La prima è l’ondata di proteste che da quaranta giorni ormai dilagano tra Baghdad e altre nove città nel sud del paese, e che non accennano a diminuire. Mercoledì scorso migliaia di persone sono di nuovo scese in piazza ad al Hwair, distretto a nord di Bassora. I giovani manifestanti provenienti da diverse aree della città hanno organizzato dei sit-in permanenti all’ingresso del più grande giacimento petrolifero, controllato da varie multinazionali.

Anche gli slogan nel frattempo sono cambiati. Mentre prima si chiedevano elettricità, posti di lavoro e lotta alla corruzione, adesso i toni sono nettamente anti-governativi. Per placare il malcontento al Abadi ha promesso di investire tre miliardi di dollari sulle infrastrutture di Bassora, una città che ha il 70 per cento delle riserve petrolifere del paese e produce circa tre milioni di barili di greggio al giorno. Nonostante le promesse, i giovani scesi in piazza hanno ormai perso la fiducia nel governo e nei principali partiti del paese.

Frattura con la società civile
La frattura si è inasprita ulteriormente mercoledì scorso, dopo che le forze di sicurezza hanno attaccato i manifestanti. La polizia ha usato l’artiglieria e gli elicotteri, ha bruciato le tende e ha arrestato più di diciotto persone. Un attivista (Harith Moataz, di 28 anni) è morto durante la detenzione, dopo aver subìto delle torture. In risposta, la sua tribù si è data appuntamento davanti agli uffici governativi e ha minacciato di provocare ulteriori disordini in città.

La seconda sfida è quella di formare un nuovo governo nel bel mezzo di questa crisi, a quattro mesi dalle elezioni del 12 maggio scorso. Mentre continuano le trattative tra le forze politiche rivali non sembra esserci nessuna luce in fondo al lungo tunnel.

Le possibilità per al Abadi di ottenere un secondo mandato stanno sfumando, anche a causa delle sanzioni statunitensi all’Iran, la terza decisiva sfida per il suo governo.

Il primo ministro ha tentato di mantenere un equilibrio tra le pressioni esterne. Da un lato gli Stati Uniti con 6mila soldati sul suolo iracheno, dall’altro l’Iran con ben 1.400 chilometri di confini condivisi e le oltre quaranta milizie irachene sciite filo-Iran.

Sarà un miracolo se al Abadi sopravviverà a queste tre sfide. Ma chi sarà il prossimo salvatore della patria? Questo nessuno può dirlo.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it