È impossibile ascoltare questo album di Edwyn Collins senza ricordare cosa gli è successo vent’anni fa. Pilastro della scena musicale scozzese, prima con la sua band, gli Orange Juice, poi, nel 1994, con la hit mondiale A girl like you, nel 2005 è stato colpito da una doppia emorragia cerebrale, a cui è seguita una convalescenza estenuante. A quel punto però non si è semplicemente messo a sedere per godersi la vita, ma ha fatto dieci dischi che sono toccanti messaggi di speranza. Nation shall speak unto nation non fa eccezione. È una raccolta di pezzi piacevolissimi che parlano di comunicazione, vecchiaia e lezioni che la vita può insegnarti. La voce è ancora ricca come sempre e si adatta a queste canzoni come il più comodo dei maglioni. Knowledge, la traccia di apertura, è adorabile e piena di sentimento. Ma Collins non si è completamente ammorbidito: The heart is a foolish little thing è spavaldamente muscolosa. Sono i pezzi riflessivi a colpire più forte, come The Bridge hotel, ballata meravigliosamente malinconica su un’accogliente locanda scozzese. Collins dice che il suo prossimo tour sarà l’ultimo, ma speriamo che continuerà a regalarci altri lavori belli come questo.
John Murphy, Music OHM


Poco dopo il suo ritorno da Youth Lagoon, Trevor Powers si è ritrovato nello scantinato dei suoi genitori, dove ha scoperto pile di vecchie videocassette girate quando era bambino. In queste registrazioni innocenti di compleanni, giri in bici e cacce al tesoro ha visto qualcosa che aveva senso inserire nel suo nuovo album. Così accanto alle canzoni scritte per Rarely do I dream ritroviamo suoni provenienti da quei video. Il musicista californiano srotola linee temporali contrastanti su percussioni robotiche e synth sporchi; nella sua personale proiezione di questi ricordi ci sono calore e possibilità, storie poco rassicuranti che parlano di crescita e famiglie in frantumi, opportunità mancate e fallimenti. Spesso in queste scene compaiono le droghe, che aiutano la riflessione esistenziale. Powers racconta tutto in maniera minuziosa, consapevole della fragilità dei suoi personaggi. La voce sfumata e l’andamento narcotico del disco potrebbero farci perdere qualche pezzo più intricato se non ci avviciniamo abbastanza. Nel 2016 il musicista aveva smesso di presentarsi come Youth Lagoon perché non si ritrovava più nel progetto, ma una malattia alle corde vocali gli ha fatto cambiare idea. Così nel 2023 è tornato e noi siamo contenti che continui a scrivere la sua storia.
Adam Clarke, The Quietus
Lanciato nel 1966 dalla vittoria al concorso pianistico di Leeds, Rafael Orozco (1946-1996) intraprese una promettente carriera internazionale anche su disco. Dopo poche uscite per la Emi fu messo sotto contratto dalla Philips, che però lo considerava un pianista di secondo piano rispetto alle star della casa. Queste poche registrazioni colgono Orozco all’apice della maturità artistica. I suoi quattro concerti di Rachmaninov sono tra le vette della discografia del compositore. Tanto architetto quanto esteta, e guidato da una magistrale disciplina del fraseggio e del tocco, il pianista spagnolo dona nobiltà assoluta a partiture troppo spesso edulcorate o usate come semplice trampolino per il virtuosismo. Il confronto con l’orchestra esalta un clima da vera sfida, che culmina nel terzo e nel quarto. Gli altri concerti di questa raccolta (Chopin, Čajkovskij) sono penalizzati da una direzione un po’ di routine. In compenso c’è una sonata di Liszt dai bagliori folgoranti e brutali, e gli Scherzi di Chopin e la Kreisleriana raggiungono le stesse temperature altissime. Sempre di Schumann, nella Fantasia la radiografia analitica e l’astrazione luminosa sconcerteranno i romantici, ma affascineranno i puristi.
Pascal Brissaud-Ecrepont, Classica