Mohammed al Khatib, del villaggio palestinese di Bilin, sfrutta ogni occasione utile per parlare ai soldati, in ebraico. Anche dopo che lo hanno picchiato, fatto stendere a terra e arrestato, anche dopo che uno dei soldati gli ha piantato imperiosamente un piede nella schiena, com’è successo l’11 ottobre vicino alla cittadina di Salfit, in Cisgiordania.
“Mi piace parlare ai soldati giovani, spiegargli l’occupazione”, dice Khatib. “‘Cosa intendi per occupazione?’, mi chiedono. ‘Voi palestinesi potete fare tutto quello che volete’. E io gli spiego: ‘E se vi dicessi che un palestinese non può costruire sulla sua terra? Cercate su internet. Non ascoltate solo i vostri superiori’”. Khatib ha parlato con Haaretz due giorni dopo essere stato detenuto per un periodo molto più breve del solito nelle circostanze che sto per raccontarvi.
Rivivere la tradizione
Khatib ha dimenticato quante volte è stato arrestato perché partecipa ai comitati popolari che si battono contro la barriera di separazione. La ragione dell’arresto questa volta è stata la raccolta delle olive. In questi giorni gruppi di volontari vanno in giro per la Cisgiordania a dare una mano, soprattutto nelle aree più soggette alle violenze degli israeliani che vivono nei vicini insediamenti illegali.
Dal 3 ottobre, primo giorno della raccolta, fino al 16 ottobre i cittadini israeliani in Cisgiordania hanno compiuto diciotto azioni di sabotaggio, aggredendo fisicamente gli agricoltori, tagliando e spezzando gli ulivi, o rubando il raccolto.
Tra i gruppi di volontari ce n’è uno, Faza – di cui Khatib è stato uno dei fondatori – intenzionato a far rivivere la tradizione di volontariato e di mutuo aiuto che caratterizzava la società palestinese negli anni settanta e ottanta.
Se non sono i coloni a ostacolare la raccolta, ci pensano i soldati. È successo l’11 ottobre in un oliveto di Al Ras, vicino a Salfit, a nord dell’insediamento di Ariel. Appena un anno fa in quell’area è sorto l’avamposto illegale di Nof Avi. Da allora i proprietari palestinesi dell’oliveto possono guardare il loro appezzamento solo da lontano. Ora che le olive sono mature, gli agricoltori hanno invitato i volontari a unirsi a loro, nella convinzione che un maggior numero di persone possa scoraggiare le violenze israeliane e permettere di terminare più rapidamente il raccolto, prima che le olive vengano rubate.
Quando i volontari sono arrivati intorno alle 8.30 del mattino si sono stupiti di trovare “un numero incredibile di soldati”, ha raccontato ad Haaretz l’attivista israeliano Gil Hammerschlag. I soldati avevano teso un nastro tra alcuni pali piantati nel terreno e avevano appeso degli avvisi, in inglese e in arabo, con cui si dichiarava l’area “zona militare chiusa”. Secondo gli attivisti presenti sul posto, i soldati non hanno mostrato alcun ordine firmato (come hanno fatto il giorno dopo in tribunale). A ogni modo gli attivisti hanno avuto premura di restare al di fuori dell’area segnata, decidendo di raggiungere a piedi l’oliveto da un’altra strada, anche questa sbarrata dai soldati.
Stavamo andando a proteggere qualcosa di legale, come la raccolta delle olive, da qualcosa di illegale, come la violenza dei coloni
Khatib spiega che non si aspettava che l’area sarebbe stata chiusa. “È vero che sulla cima della collina c’è un colono che ne ha preso possesso. Ma noi stavamo andando a proteggere qualcosa di legale, come la raccolta delle olive, da qualcosa di illegale, come la violenza dei coloni. Se l’esercito era davvero preoccupato della sicurezza del colono, perché non ha messo dei soldati intorno alle costruzioni illegali dell’insediamento? Perché impedire la raccolta delle olive? Tutto dipende da cosa aveva deciso il comandante”.
“Il giorno prima”, continua Khatib, “avevamo raccolto le olive a Beita. Per farlo siamo passati dall’insediamento di Evyatar. L’esercito non ci ha dato noie e non ci sono stati problemi. In altre parole, a decidere come andranno le cose è il comandante militare. Noi andiamo a raccogliere le olive: non ci interessa creare tensioni. Non vogliamo provocare nessuno, ma ci rifiutiamo di avvisare l’esercito se vogliamo entrare in un oliveto privato solo perché un colono ha preso possesso di un terreno di proprietà palestinese. A causa di quell’avamposto la terra di quell’oliveto non è stata arata per un anno intero. È piena di rovi”.
Il piede sulla schiena
Khatib è arrivato un po’ in ritardo, dice di non aver visto il nastro della “zona militare chiusa”. Ha visto i soldati che negavano l’accesso e si è unito agli altri attivisti. Khatib, che ha studiato diritto, racconta che durante la detenzione un ufficiale gli ha detto che se c’è un ordine di chiusura significa che quella è terra israeliana. “Ma non sa nulla della legge”, osserva. “In base a che logica? Il colono infrange la legge, io la rispetto, e invece sarei io il trasgressore”.
Anche se gli attivisti si sono fatti indietro, i soldati si sono avvicinati a loro e hanno cominciato a spingerli. “Mi sono messo a discutere con l’ufficiale: ‘Perché ci spingete? Ho il diritto di raccogliere le olive’. Ho sentito un altro ufficiale dire al comandante che voleva arrestare due persone. Ha chiesto il permesso e l’ha ottenuto. Io gli ho detto: ‘Potete arrestarmi, ma perché?’. Mi ha detto che ero in arresto. Io ho alzato le mani. Alcuni attivisti sono arrivati e mi hanno liberato, poi dei soldati mi sono piombati addosso, erano in cinque o sei, e mi hanno picchiato. Sul momento non ho sentito male ma dopo, mentre ero in stato d’arresto, facevo fatica a muovere il collo. Mi hanno steso con la faccia a terra, e uno di loro mi ha schiacciato la schiena con il piede”.
Il fotografo Matan Golan ha avuto l’impressione che il maggiore, che si vede in un video correre verso il soldato che stava calpestando Khatib, non fosse contento di quello che stava accadendo, e infatti quando è intervenuto il piede è stato tolto dalla schiena di Khatib. A quel punto i soldati hanno cominciato a lanciare granate assordanti contro i volontari”.
Un portavoce dell’esercito israeliano ha risposto alle richieste di Haaretz ripetendo che c’era stato “un violento turbamento dell’ordine pubblico vicino alla fattoria di Nof Avi”, e che i volontari avevano infranto l’ordine di chiusura che gli era stato notificato, usando la violenza contro i soldati. Il portavoce ha aggiunto che “i soldati avevano risposto con dei metodi usati per disperdere le manifestazioni, arrestando tre sospetti. Uno di loro ha avuto un atteggiamento violento nei confronti di un soldato, comportandosi in modo scomposto durante l’arresto, tentando anche di fuggire. I soldati hanno dovuto usare la forza per portare a termine l’arresto. La condotta del soldato che gli ha piazzato un piede sulla schiena è inaccettabile”.
Giustificare l’arresto
Erano le dieci del mattino quando i soldati hanno ammanettato Khatib dietro la schiena, bendandolo e trasportandolo nell’oliveto, più vicino all’insediamento. Due israeliani che erano stati a loro volta arrestati, Hammerschlag e l’attivista David Shalev, erano già seduti là. Anche loro avevano le mani legate dietro la schiena ma non la benda sugli occhi. I due hanno fatto notare la differenza nel trattamento e uno dei soldati ha tolto la benda a Khatib. Dopo due ore e mezza, nel corso delle quali i tre sono rimasti seduti a terra ammanettati, i soldati li hanno bendati tutti e li hanno caricati su una jeep diretta al più vicino commissariato di polizia, ad Ariel.
Mentre attendevano in una cella di detenzione hanno sentito un agente parlare con uno dei soldati che li aveva arrestati, l’unico rimasto. La loro impressione è che il poliziotto stesse istruendo il soldato su come modellare le prove a sostegno dell’arresto. Khatib, che era vicino alla porta, dice di aver sentito l’agente spiegare al soldato che infrangere un’ordinanza di chiusura è insufficiente per la detenzione, e che per questo avrebbe dovuto affermare che il palestinese aveva aggredito i soldati. Khatib racconta che il soldato ha detto che lui non aveva aggredito nessuno, arrecando solo un disturbo, e il poliziotto ha replicato che non sarebbe bastato. Hammerschlag racconta di aver udito l’ufficiale domandare se Khatib avesse strattonato il fucile dell’ufficiale, come a voler suggerire cosa poteva essere annotato nelle prove per giustificare l’arresto (il distretto di Giudea e Samaria finora non ha commentato su questo punto).
In seguito i tre sono stati divisi. Gli israeliani sono stati portati al carcere di Hadarim, in Israele, mentre Khatib è stato portato in una struttura detentiva nella base militare di Hawara, a sud di Nablus. La legge israeliana impone che un sospetto venga portato davanti a un giudice entro 24 ore dal suo arresto. La legge militare che prevale in Cisgiordania consente che un sospetto palestinese possa essere trattenuto fino a 96 ore senza comparire davanti a un giudice. In realtà, a Hammerschlag e Shalev è stata concessa l’opportunità di essere rilasciati ad alcune condizioni mentre erano ancora ad Ariel. Ma loro hanno rifiutato dichiarando di non aver commesso alcuna trasgressione.
Il loro rifiuto di essere rilasciati immediatamente ha reso più facile per l’avvocata che rappresentava i tre, Riham Nasra dello studio legale di Michal Pomeranz, far scarcerare Khatib prima del termine delle 96 ore. Il pomeriggio dell’11 ottobre l’avvocata ha presentato una richiesta per la sua immediata liberazione, che impone alla segreteria della corte militare di indire un’udienza anticipata. Non si tratta di una questione di poco conto. Vista l’abbondanza di prigionieri gli avvocati in Cisgiordania si sono abituati a un minimo di quattro giorni di detenzione, senza neppure tentare di ottenere il rilascio prima.
Il 12 ottobre i due israeliani sono comparsi in un tribunale a Petah Tikva. La polizia ha chiesto una proroga della detenzione per Hammerschlag e un ordine che vietasse a Shalev di recarsi all’oliveto per 15 giorni, affinché “l’indagine sia completata”. Nasra ha mostrato un video che confermava la versione degli arrestati. Se i soldati avessero avuto un video che mostrava il contrario la polizia sarebbe stata felice di esibirlo. La giudice Liat Har Zion ha concluso che la polizia avrebbe potuto completare l’indagine anche se i due fossero stati rilasciati. Nasra ha tempestivamente inviato i verbali alla corte militare di Salem, nel nord della Cisgiordania, poi è andata sul posto e ha chiesto una sentenza immediata sul rilascio di Khatib. Alle 16.30 è stato deciso di tenere una seduta alle 16.45.
Khatib è rimasto nella struttura detentiva di Hawara, partecipando all’udienza in videoconferenza. Il giudice, il tenente colonnello Samzar Shagog, ha dichiarato che c’erano “basi ragionevoli per sospettare che Khatib avesse spinto i soldati e tentato di entrare in una zona militare ristretta”, ma lo ha scarcerato, imponendogli di pagare una cauzione di 1000 shekel (270 euro).
Il 12 ottobre alle 18.30 Khatib è stato rilasciato. Pochi giorni dopo era a raccogliere le olive a Burin.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è stato pubblicato da Haaretz.
Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it