Questo articolo è stato pubblicato il 5 aprile 2019 nel numero 1301 di Internazionale.

Non abbiamo dati affidabili su quanti siano i preti gay nella chiesa cattolica. Il Vaticano ha condotto molti studi sul clero ma mai su questo argomento. Inchieste indipendenti sulla chiesa statunitense – che comprende 37mila sacerdoti – sono arrivate a conclusioni diverse: per alcune i preti omosessuali sarebbero meno del 15 per cento del totale, secondo altre addirittura il 60 per cento. Dalle mie ricerche emerge che sono intorno al 30-40 per cento tra i diocesani e molti di più – almeno il 60 per cento – in ordini religiosi come i francescani e i gesuiti. Questi dati rappresentano un enorme, insostenibile paradosso. La chiesa cattolica – che dal 2005 condanna i preti con “tendenze omosessuali radicate” e sostiene che i gay hanno un’inclinazione “oggettivamente disordinata” che li predispone per natura al “male morale” – è composta di omosessuali come poche altre istituzioni.

Questo dato di fatto crea una dissonanza cognitiva sempre più difficile da gestire. Negli ultimi trent’anni gli omosessuali sono usciti allo scoperto in tutti gli ambiti, e questo ha reso la forte percentuale di omosessuali tra i preti cattolici sempre più difficile da nascondere, ignorare o negare. La nuova apertura non ha solo modificato la percezione della maggior parte dei cattolici statunitensi (il 67 per cento di loro è favorevole al matrimonio civile tra omosessuali) e dei preti gay (molti dei quali oggi decidono di abbandonare il sacerdozio), ma ha anche permesso di rompere il silenzio che ha sempre circondato questo argomento.

Cinque anni fa, rispondendo a una domanda su un prete gay, papa Francesco ha fatto una dichiarazione cruciale: “Chi sono io per giudicare?”. Poi ha aggiunto: “Una volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: ‘Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?’. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo”.

Nel 2014 Francesco ha chiesto di inserire nel documento finale del sinodo sulla famiglia un riferimento “ai doni e alle qualità” che hanno da offrire gli omosessuali alla chiesa, chiedendo: “Siamo capaci di accoglierli?”. Questa posizione non è passata per pochi voti, ma comunque testimonia un netto cambiamento di tono della dottrina ufficiale. E ha anche scatenato il panico nella destra cattolica. Allarmati all’idea che le persone divorziate, quelle risposate e gli omosessuali potessero essere accolti nella chiesa, i tradizionalisti hanno lanciato una campagna feroce contro il nuovo papato, collegando la questione dell’omosessualità alle orribili rivelazioni di abusi sessuali emerse a partire dal 2002. Hanno cominciato a sostenere in modo sempre più esplicito che gli scandali non sono il frutto degli abusi di potere, della pedofilia, del clericalismo, degli effetti psicologici distorsivi dell’astinenza sessuale e dell’omofobia istituzionale, ma dell’omosessualità in sé.

“Esiste una cultura omosessuale nella chiesa, perfino nelle alte gerarchie, che dev’essere sradicata”, ha dichiarato ad agosto del 2018 il cardinale statunitense Raymond Burke.

Al centro di questo conflitto, naturalmente, ci sono gli stessi preti, vescovi e cardinali gay, intrappolati tra la relativa tolleranza di Francesco e l’ostilità di persone come il suo predecessore, il conservatore Benedetto XVI. La posizione adottata nel 2005 nei confronti dei preti e dei seminaristi gay è ancora in vigore, anzi è stata confermata da Francesco nel 2016. Di conseguenza, quasi tutti i preti gay mantengono il massimo riserbo per paura di essere presi di mira, e questo gli impedisce di partecipare al dibattito. Se ne stanno in silenzio mentre sono usati come un capro espiatorio, spesso in modo molto offensivo. “In realtà da quando Francesco è diventato papa le cose sono peggiorate”, mi ha detto uno di loro. “I preti gay sono messi sullo stesso piano degli stupratori. È in corso una caccia alle streghe”.

Rockstar anonima

Le cappelle degli ospedali possono essere posti strani. Dato che di solito le persone non ci passano molto tempo, sembrano vuote, asettiche e provvisorie. Ma a mezzogiorno di una domenica, in un grande ospedale del midwest statunitense, molte persone hanno invaso la cappella per assistere alla messa. È chiaro che si conoscono tra loro, perché prima della funzione si salutano e chiacchierano. Ci sono giovani e anziani, bianchi e neri, famiglie e coppie, qualcuno arrivato da solo.

La messa in sé non è niente di speciale, a parte una singolare omelia sul Natale in cui il prete parla della gioia di non avere nulla. È una cosa, spiega, che ha imparato assistendo i malati, gli affamati e le persone senza casa dopo una catastrofe naturale all’estero. Stava tornando da un ospedale da campo lungo un sentiero non illuminato alle prime ore del mattino. Era circondato da un’immensa sofferenza che si andava ad aggiungere a una brutale povertà, ma era confortato dalla fede e dalla tenacia dei poveri e dei malati. Si era fermato, aveva alzato gli occhi al cielo stellato e non aveva provato disperazione ma speranza. “Ci lascia sempre con un buon messaggio”, dice l’uomo accanto a me. Annuisco. “C’è tanta gente per essere un ospedale”, dico. “Oh, sì”, risponde l’uomo. “Vengono da tutte le parti. Questo prete è una rockstar”. Non commento. Padre Mike (non è il suo vero nome) mi ha mandato un messaggio qualche giorno prima per stabilire le regole: “Non devi intervistare nessuno né dire che stai scrivendo un articolo”. La storia della vita di quest’uomo deve rimanere anonima, come quella di quasi tutti i preti con cui ho parlato. Neanche i suoi parrocchiani più devoti sanno che è gay.

Per Mike non è stato facile decidere di farsi prete. Viene da una famiglia disastrata e i suoi genitori violenti si sono convertiti al cattolicesimo quando lui era nella prima adolescenza. Accettava di andare a messa la domenica perché gli promettevano che poi l’avrebbero portato a pranzo nel suo posto preferito. Fino a quando, a 15 anni, anche lui diventò formalmente cattolico. A 17 anni fu mandato in ritiro spirituale da un prete. “La prima notte cercò quasi con la forza di portarmi a letto con lui”, racconta Mike. “Ero terrorizzato”. Un anno dopo i genitori lo cacciarono di casa e lui andò a vivere con un seminarista che si occupava dell’educazione dei ragazzi. “Rimasi da lui per due mesi. Dovevo continuamente difendermi dai suoi tentativi di approccio”. Lo denunciò e testimoniò contro di lui in tribunale. Ma il seminarista era protetto dal suo superiore e, nonostante le testimonianze di altri tre ragazzi, alla fine fu assolto. “A quell’epoca la gente credeva veramente ai preti”, mi dice Mike con un sospiro.

Preti appena ordinati ascoltano la messa di papa Franscesco, Vaticano, 22 aprile 2018. (Tony Gentile, Afp/Getty Images)

Nonostante tutto questo, a metà degli anni novanta, dopo la laurea, Mike entrò in seminario. Era continuamente sottoposto a valutazioni psicologiche e gli venivano negati gli incarichi di routine. Temendo che la sua testimonianza contro il molestatore gli impedisse di diventare prete, decise di mollare e cominciò a lavorare come infermiere. Ma aveva ancora la vocazione, così alla fine tornò in seminario e tre anni dopo diventò prete.

Gli dico che la maggior parte delle persone troverebbe la sua storia assurda, quasi masochistica. Perché entrare in una chiesa che non ti vuole, anzi che ha abusato di te? Lui esita un po’, poi dice: “Be’, alla base di tutto c’è Gesù. Insomma, io credo in Dio”. La sua voce sale di tono, improvvisamente diventa più intensa. “Avevo trovato delle persone tra i sacerdoti del campus, quando ero al college, che erano veramente sincere. Si amavano e amavano Dio, amavano ‘gli ultimi degli ultimi’. Non erano perfetti, ma il messaggio più importante che trasmettevano era che Gesù è con noi, Gesù è nei volti degli emarginati”. Gli avevano detto che era nato per fare il prete, e il periodo passato a lavorare come infermiere aveva rafforzato la sua convinzione. “Mentre assistevo i pazienti, molti dei quali sarebbero morti, pregavo con loro quando me lo chiedevano, gli portavo la comunione quando potevo, e grazie a loro ho capito che ero chiamato a servire Dio”.

È proprio questa relazione tra infermiere e paziente, pastore e gregge, che oggi lo aiuta a gestire i conflitti dovuti alla sua omosessualità. “Ogni volta che entro in ospedale, non importa come mi sento o quello che sto passando”, racconta. “Quando sei seduto sul bordo del letto di qualcuno che ha appena avuto un’operazione andata male, gli parli a cuore aperto. A volte dimentichiamo che per la chiesa la cosa importante è quella particolare persona e la sua umanità, le sue speranze e le sue paure, il suo desiderio di amare e di essere amata”.

Una voce nel deserto

La maggior parte dei preti gay che ho conosciuto non ha mai subìto molestie all’interno della chiesa. Molti hanno preso coscienza del loro orientamento sessuale prima di abbracciare il sacerdozio, altri lo hanno scoperto in seminario, e altri ancora più tardi nella vita. “L’esperienza non è uguale per tutti”, mi dice padre Joe. “All’inizio mi chiedevo se ero un impostore e pensavo: sto solo cercando rifugio in una vita in cui non dovrò affrontare il problema della mia sessualità? Ma c’erano persone che tenevano a me, mi sfidavano a chiedermi se era proprio così, e sentivo che quello era il lavoro che Dio mi stava chiamando a fare. È un processo di comprensione graduale”. Poi c’è stato un momento di rivelazione. “Al culmine della crisi dell’aids lavoravo in un ospedale. Una suora mi ha chiesto: ‘Cosa vuoi dire a queste persone? Sono tutti omosessuali o tossicodipendenti’. E io le ho risposto: ‘Voglio parlargli della misericordia di Dio e stargli vicino per quello che sono’. Mi ha aiutato a capire che Dio poteva usarmi anche se la chiesa non mi accettava”.

Un altro, che chiamerò padre Andrew, descrive la sua scelta come “utile ed esistenziale”. Mi spiega: “Avevo 18 anni, ero consapevole di essere gay ma ero molto depresso. Un giorno mio padre mi mise alle strette e mi fece confessare. Mi mandò da uno psicologo, che mi disse: ‘Non cambierai. Devi accettarti per come sei’”. Al padre di Andrew il consiglio non piacque e costrinse il figlio a interrompere la terapia. Quand’era all’università cercò di nuovo di curarsi, ma poi suo padre morì e lui rimase spiazzato. “Continuavo a pensare alla vita e alla morte. Avevo ricominciato a pregare e ad andare a messa. Un giorno, mentre guidavo nel deserto dell’Arizona, vidi dei mulinelli di polvere e sentii una voce nella testa: ‘Diventa prete. Così non dovrai affrontare il problema del sesso e sarai rispettato’. Poi mio fratello morì in un incidente d’auto”. Dopo il primo anno di università Andrew entrò in seminario.

Lì ebbe la sua prima esperienza sessuale da adulto. “Avevo 28 anni. Scoprii di essere bisessuale. Misi su un po’ di muscoli. Gli altri seminaristi cominciarono a notarmi e volevo capire cosa significasse essere un adulto”, racconta. “Era difficile. Non mi piaceva baciare. Ebbi un rapporto ma non riuscii a eiaculare”. Poi si gettò a capofitto nel lavoro, fino a quando, a quarant’anni, fu colpito da un esaurimento. Prese un permesso, passò sei mesi a pregare e a cercare di curarsi. Una volta tornato mandò un’email di spiegazione ai colleghi: “Essendo una persona che ha da tempo dubbi su se stessa, voglio dedicarmi a portare l’amore di Dio a tutti quelli che, come me, a volte mettono in discussione il loro valore a causa di voci che sono in contrasto con quella di Dio”.

La svolta fu improvvisa. “Dissi al mio psicanalista: ‘Penso di essere un buon prete’ e lui rispose: ‘Sono sicuro che lo sei’. E scoppiai a piangere”. Mentre lo racconta gli si spezza la voce. “Essere messi sullo stesso piano dei pedofili è una grande sofferenza”. Il fatto di essere usati come capri espiatori ha ferito molti dei preti con cui ho parlato. Sono stigmatizzati due volte: dai loro superiori in quanto gay e dalla gente comune convinta che siano dei pedofili. Molte delle persone, cattoliche e non cattoliche, con cui ho parlato dei preti gay, hanno alzato gli occhi al cielo e mi hanno chiesto degli abusi sui bambini. I mezzi d’informazione raccontano giustamente tante storie di abusi sessuali, ma nessuno parla mai dei preti omosessuali che non si sognerebbero mai di approfittare di un bambino.

Una storia millenaria

Naturalmente molti preti gay cadono in tentazione e infrangono il voto di castità per avere una storia consensuale con un adulto. Non sono santi. Ma questo succede anche ai preti eterosessuali. Sono tutti esseri sessuati, persone in carne e ossa. Quando hanno queste crisi, di solito reagiscono in due modi: o s’innamorarono profondamente e non sopportano più l’idea di una vita senza intimità fisica, e finiscono per lasciare la chiesa; oppure, più spesso, si pentono, confessano e s’impegnano di nuovo a rispettare il voto di castità. “I preti migliori sono quelli che hanno sbagliato, quelli che sanno cosa significa essere umani”, mi dice padre Andrew. “Non ho mai visto la castità come un dono, è sempre stata una disciplina”.

Padre Joe mi racconta in modo commovente di quando si è innamorato. “Ho avuto una breve relazione, sedici anni fa. È stata l’ultima. Lui non voleva stare con qualcuno che non poteva essere apertamente il suo compagno, e voleva sposarsi. Gli ho chiesto se potevamo restare amici e continuare a fare sesso, ha detto di no”. C’è un ultimo barlume di sofferenza nei suoi occhi. “Oggi siamo molto amici, ma non abbiamo intimità fisica. Quando lo vedo con il compagno, penso: E io chi ho? Quando è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha toccato? So che non è normale. Ogni tanto mi faccio fare un massaggio da un professionista. E se ho un cedimento guardo un porno nella mia stanza”.

“C’è un’estrema riluttanza ad ammettere che i preti vivono abbastanza bene la castità, ma non perfettamente”, mi spiega padre Leo. “Come fai ad avere una vera comprensione del tuo orientamento sessuale in un contesto in cui la tua sessualità è disprezzata?” Dopo che nel 2005 il Vaticano ha confermato il divieto al sacerdozio per gli omosessuali, Andrew è stato attirato dalla terapia di riorientamento sessuale e ha passato più di un anno a cercare di curarsi dall’omosessualità, ma poi si è reso conto che “era tutta una bugia”.

La forte presenza di gay nella chiesa non è una novità. Per più di mille anni è stata una cosa normale, e anche se ogni tanto un omosessuale veniva denunciato, di solito il papa accettava la situazione con indifferenza e non prendeva provvedimenti. Nel libro Cristianesimo, tolleranza, omosessualità, lo storico statunitense John Boswell racconta che Giovanni Crisostomo, un vescovo del quarto secolo, accusava i capi della chiesa di essere troppo tolleranti nei confronti dell’amore tra persone dello stesso sesso e perfino del sesso in sé: “Quelle stesse persone che insegnano agli altri cosa devono fare… non possono accompagnarsi sfacciatamente a prostitute e giovani uomini. Nessuno si vergogna. Sembra che a essere strano sia chi è casto e che a sbagliare sia chi disapprova”. A causa degli insegnamenti di san Paolo e sant’Agostino, i cristiani erano particolarmente preoccupati del sesso in generale, ma l’omosessualità – se si limitava a essere un intenso amore reciproco e una casta amicizia – non era considerata un problema specifico.

Perfino sant’Agostino aveva avuto una storia d’amore particolarmente intensa con un altro ragazzo. “Sentivo che la mia anima e la sua erano un’anima sola in due corpi”, scriveva, “perciò la vita mi faceva orrore – io non volevo vivere a metà – e perciò mi faceva paura la morte, con cui sarebbe morto ormai del tutto anche lui, lui che avevo molto amato”. Non era solo un’amicizia spirituale: “Inquinavo la sorgente dell’amicizia con i veleni della passione e offuscavo la sua chiarezza con l’inferno del sesso”. Qualcuno ha ipotizzato che la sua separazione manichea tra lo spirito e il corpo fosse dovuta al disgusto per le proprie tendenze omosessuali. Ma la storia ci rivela che, nonostante l’influenza di Agostino, le intense amicizie omoerotiche nel clero sarebbero state un fatto abituale anche nei secoli successivi, soprattutto nei monasteri e conventi (anche femminili: il contributo che le lesbiche hanno dato alla chiesa è altrettanto straordinario, ma dato che il sacerdozio è riservato agli uomini e le donne non possono accedere a vere posizioni di potere, nel bene o nel male le suore lesbiche non sono coinvolte in questa specifica crisi).

Amicizia speciale

Nel dodicesimo secolo i preti e i monaci si scrivevano poesie d’amore in quella che Boswell descrive come “un’esplosione di letteratura gay che non ha uguali nel mondo occidentale”. Ma forse, proprio per reazione all’accettazione della spiritualità omosessuale, qualcuno cominciò a chiedere un giro di vite. Intorno al 1051 san Pier Damiani pubblicò un trattato, il Liber gomorrhianus, in cui si ritrova una retorica simile a quella dei nostri tempi: “Nessun altro vizio può essere paragonato a questo, è la morte del corpo, la distruzione dell’anima”. Damiani diceva che la chiesa era gestita da una cricca di omosessuali che si coprivano e si assolvevano a vicenda dei loro peccati. Nonostante questo, il papa dell’epoca, Leone IX, si rifiutò di espellere i preti omosessuali e sostenne che il problema erano quelli che “facevano sesso regolarmente e con molti uomini”. Se veniva confessato, un cedimento occasionale poteva essere perdonato. Nel 1102 il Concilio di Londra promulgò un decreto contro un peccato di recente definizione, la “sodomia”, ma la sua pubblicazione fu bloccata dall’arcivescovo di Canterbury, che disse: “Finora questo peccato è stato talmente di pubblico dominio da non mettere in imbarazzo nessuno”.

Nel tredicesimo secolo la situazione cambiò con l’arrivo di Tommaso d’Aquino, che definì i comportamenti omosessuali “contro natura”. Il sesso – eterosessuale e omosessuale – doveva essere riservato alle coppie sposate ai fini della procreazione, e qualsiasi altra attività sessuale era un peccato grave. Secondo la nuova teologia, in natura i comportamenti omosessuali esistevano, ma per qualche motivo erano contrari alla natura stessa. Tommaso d’Aquino non sciolse mai il paradosso, né lo ha mai fatto la chiesa dopo di lui.

Nei secoli successivi il tabù si rafforzò, ma i preti omosessuali non sparirono. La maggior parte di loro scelse la clandestinità, e l’amore tra persone dello stesso sesso continuò comunque a far parte del cristianesimo cattolico. Nel cinquecento, dall’amicizia tra sant’Ignazio di Loyola e san Francesco Saverio nacque la Compagnia di Gesù, l’ordine dei gesuiti. Ignazio mandò Francesco a evangelizzare l’Asia, e la loro lunga separazione fu fonte di sofferenza per entrambi. Una volta Francesco rispose così a una lettera di Ignazio: “Tra le tante altre sante e consolanti parole della tua lettera, ho letto quelle conclusive, ‘interamente tuo, senza capacità o possibilità di dimenticarti mai, Ignazio’. Le ho lette con le lacrime agli occhi, e con le lacrime agli occhi ora le riscrivo. Mi dici di avere un grande desiderio di rivedermi prima della fine di questa vita e Dio sa quale profonda impressione hanno fatto quelle parole d’amore sulla mia anima”. Non si sarebbero mai più rivisti.

Il più grande poeta cattolico dell’ottocento, il gesuita Gerard Manley Hopkins, era gay, come uno dei maggiori teologi del novecento, Henri Nouwen. Non sappiamo se infransero il voto di castità, ma entrambi s’innamorarono, soffrirono di solitudine e produssero opere di enorme bellezza e spiritualità.

L’influenza delle madri

Come si spiegano tanti gay nella chiesa? I preti che ho conosciuto mi hanno dato risposte diverse. Alcuni mi hanno detto che fin da bambini il fatto di sentirsi diversi li ha resi sensibili ai bisogni degli emarginati: “Eri un emarginato e volevi aiutare altri emarginati”.

Poi c’è l’esperienza comune dei ragazzi gay che hanno ricevuto un’educazione religiosa e si rivolgono a Dio per capire i motivi della loro differenza e della loro deviazione dalla normalità. Sono costretti a fare riflessioni più profonde dei loro coetanei, acquisiscono una maggiore capacità di osservazione e sviluppano una spiritualità precoce che non li abbandonerà mai del tutto. È successo anche a me. La prima persona a cui mi sono confessato è stato Dio, in una preghiera silenziosa mentre andavo a fare la comunione. Ero un chierichetto, ero bravo a far oscillare il turibolo d’ottone pieno di incenso. A undici anni potevo discutere di transustanziazione e consideravo il sacerdozio una vocazione (ma conclusi che non ero una persona abbastanza buona per fare il prete). Come molti ragazzi cattolici gay ero solitario e consideravo Gesù un modello: solo e perseguitato, ma capace di riscattarsi e di restare vivo per sempre.

Ma alcuni gay scelgono il sacerdozio per motivi meno sani. Il primo è la castità. Nei secoli passati, se eri un giovane omosessuale cattolico potevi evitare l’ostracismo sociale o le continue domande sulle donne diventando prete. Un sacerdote mi ha anche detto che spesso la principale spinta arriva dalle madri: quando intuiscono che il figlio “non è tipo da matrimonio”, lo incoraggiano a entrare nella chiesa per difendere l’onore della famiglia. In altri casi è la profonda mancanza di autostima, alimentata dall’omofobia della chiesa, a spingerli a vedere il sacerdozio come un modo per reprimersi o per curarsi. “Prima ancora di arrivare all’adolescenza, ti rendi conto che l’omosessualità è un abominio”, spiega padre John. “Così ti aggrappi agli insegnamenti della chiesa e implori: ‘Riempimi del tuo verbo e io diventerò te’. In altre parole, ‘rinuncerò a essere me stesso’”. Ma spesso si esce sconfitti da questa inconscia battaglia interiore. È troppo difficile non essere se stessi. Qualcuno se la cava ricorrendo a comportamenti stravaganti, altri cadono in depressione. Cedono all’alcolismo e alle dipendenze. “Quando sono rientrato nella chiesa nel 2010, non potevo credere a quanto erano diventati obesi quei preti”, racconta Andrew. “Prima erano così atletici”.

Altri preti gay, più consapevoli e cinici, scoprono che con la falsità si può fare carriera. Dal tredicesimo secolo in poi gli omosessuali trovarono nella chiesa un modo per raggiungere posizioni di potere. Se nel mondo esterno erano emarginati, entrando nel clero potevano diventare consiglieri di monarchi, perdonare i peccati degli altri, guadagnarsi da vivere, acquisire enormi privilegi ed essere trattati con rispetto. Tutto veniva tenuto nascosto, nei seminari nessuno faceva domande, l’assistenza psicologica ancora non esisteva (è rara ancora oggi). Uomini feriti e spaventati diventavano preti, e cominciarono a emergere certi comportamenti precisi. Per esempio mettere in atto le proprie fantasie sessuali o molestare altri uomini.

Vaticano, 14 ottobre 2018. (Alessandro Bianchi, Reuters/Contrasto)

Accusare di molestie sessuali tutti i preti gay, come si tende a fare oggi, è una grottesca offesa a tutti quei sacerdoti – che sono la grande maggioranza – che non hanno mai pensato di commettere un delitto simile e anzi ne sono inorriditi. È la classica ricerca di un capro espiatorio. Al tempo stesso, separare completamente la questione degli abusi sessuali da quella dei preti gay significa far finta di non vedere una scomoda verità. La pedofilia non ha niente a che fare con l’orientamento sessuale, ma le molestie nei confronti degli adolescenti e dei giovani adulti, o di altri preti, sono strettamente collegate a un’omosessualità deviata.

Alla fine del novecento le dimensioni del fenomeno erano diventate enormi, ma in un certo senso prevedibili. Se non affronti con onestà la tua sessualità, alla fine sarà lei a dominarti. Se costruisci un’istituzione piena di uomini repressi che odiano se stessi, basata sulla segretezza e sulla totale obbedienza ai superiori, ti ritrovi con una macchina che produce patologie e abusi. E la verità è che non sapremo mai quanto fossero frequenti gli abusi nei secoli passati né quanto lo sono oggi, soprattutto in quei posti del mondo (come l’Africa e l’America Latina) in cui giudicare la chiesa è ancora quasi impossibile.

Un altro comportamento ricorrente è l’esibizione dell’omofobia: punisci gli altri per quello che odi in te stesso ma non sei capace di affrontare. È risaputo che molti dei vescovi e dei cardinali più omofobi sono stati, e sono, gay. Prendiamo Francis Spellman, ex cardinale di New York, morto nel 1967. Per anni ebbe una vita omosessuale attiva mentre era uno dei più severi paladini dell’ortodossia.

Di recente il cardinale australiano George Pell, fortemente conservatore e ostile ai gay, è stato condannato per abusi sessuali su minori. Il leader della Church militant, organizzazione ossessionata dai preti omosessuali, si definisce un “ex gay”. In pratica, nelle alte sfere della chiesa quelli che sono ossessionati dall’omosessualità spesso sono omosessuali, e quelli meno combattivi in genere sono eterosessuali.

Oggi chi si limita anche solo ad accennare all’omosessualità di persone considerate sante è accusato di fare disgustose insinuazioni, ma questo succede perché ancora oggi tanti capi religiosi vedono l’omosessualità come una questione di condotte e di lussuria invece che di amore e di identità. Ora che stanno venendo alla luce tanti problemi che riguardano il sesso ai massimi livelli della chiesa, sarebbe il caso di riconoscere che questi ingioiellati imperatori sono nudi.

Frattura generazionale

Questo, naturalmente, aggiunge un altro livello di complessità alla storia dei preti gay: l’aspetto generazionale. Quelli che oggi hanno 70-80 anni sono cresciuti in un mondo completamente diverso, in cui la segretezza era la norma e l’idea di parlare di preti omosessuali scandalosa. Un sacerdote mi ha detto che quella generazione “è così lontana dalla realtà che potrebbe vivere nel regno di Narnia”. Forse molte di queste persone non sono neanche consapevoli di essere gay. Al contrario quelli che hanno 60 o 50 anni, o meno, sono in genere più consapevoli e più accettati dalle loro famiglie e dagli altri cattolici. Questa differenza tra generazioni è una delle principali cause del conflitto negli alti ranghi della chiesa.

All’inizio del terzo millennio della storia della chiesa, il problema degli abusi sessuali è esploso ed è diventato di pubblico dominio. Improvvisamente l’intero sistema di segretezza, autodifesa e coperture è emerso brutalmente alla luce del sole. Per la maggior parte dei preti gay è stato un sollievo, perché erano inorriditi come tutti gli altri. Ma allo stesso tempo sapevano che il sistema che ora si sta provando a smantellare nascondeva non solo i crimini e gli abusi dei cattivi sacerdoti ma anche i peccati tra adulti buoni e consenzienti. Anche loro avevano dei segreti.

Quasi tutti in passato avevano commesso un errore che, se fosse stato rivelato, avrebbe potuto essere usato contro di loro. Così si è instaurato un velenoso clima di omertà e tutto il clero si è trasformato in uno strumento di distruzione reciproca. Dato che molti preti sono a conoscenza della sessualità degli altri o dei loro errori, tutti possono ricattarsi a vicenda. Piccoli cedimenti – come una breve relazione – possono facilmente essere confusi con colpe gravi come gli abusi sui minori. Se denunci un molestatore, quello può a sua volta denunciarti per la tua omosessualità e rovinarti la carriera.

Di conseguenza la segretezza sull’omosessualità è diventata un meccanismo che porta a tollerare e a consentire gli abusi. Inoltre l’obbedienza ai superiori fa in modo che vescovi e cardinali abbiano un enorme potere sul loro gregge. Qualcuno, ovviamente, ha capito che questo controllo poteva essere usato per ottenere favori sessuali e ne ha approfittato.

Guerra a Francesco

Nel 2002 sono state introdotte nuove procedure per proteggere i minori. Ma il problema di tutti i danni fatti in passato non è stato affrontato. Lo ha dimostrato la vicenda di Theodore McCarrick, uno dei cardinali statunitensi più potenti. Si è scoperto che McCarrick ha abusato impunemente di almeno due bambini e ha molestato sessualmente generazioni di seminaristi. Questo scandalo ha dimostrato che l’abitudine di coprire e tollerare gli abusi toccava anche i massimi vertici della gerarchia. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno tutti protetto i molestatori o comunque deciso di non affrontare il problema. Il fatto che alcuni di questi criminali gestissero grandi somme di denaro fa sembrare particolarmente cinica la tolleranza nei loro confronti.

Ancora non sappiamo esattamente perché Benedetto XVI abbia deciso di dimettersi. Secondo alcuni si è ritrovato in mano un ampio dossier sugli abusi sessuali nella chiesa e non se l’è sentita di agire. Forse era semplicemente sopraffatto, scoraggiato dalle dimensioni del fenomeno e preoccupato che l’intera chiesa potesse crollare.

Francesco ha scelto una strada diversa. Ha subito ribadito la distinzione tra peccati e crimini e, pur denunciando gli abusi, non ha insistito nel chiedere ai preti la perfezione sessuale: bastava che confessassero i loro errori, fossero assolti dai loro peccati e s’impegnassero a rispettare il voto di castità in futuro. Poi è andato oltre, riconoscendo che nella chiesa ci sono bravi preti gay: “Il problema non è avere questa tendenza, dobbiamo essere sorelle e fratelli”. Il problema, ha spiegato, è se i gay costituiscono una sorta di fazione o di lobby all’interno della chiesa, ma questo vale per tutte le lobby, quelle “degli avari, dei politicanti, dei massoni”.

Il cambiamento di tono di Francesco ha fatto indignare i conservatori in Vaticano. E quando il papa ha cercato i consigli di McCarrick, un liberale moderato, quelli che sapevano dei suoi abusi sui seminaristi sono entrati in azione. Con uno dei più clamorosi atti di dissenso della storia della chiesa, ad agosto del 2018 l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha scritto una lettera in cui affermava che gli abusi di McCarrick erano noti in Vaticano dal 2000, e che Francesco ne era al corrente dal 2013. Francesco ha risposto paragonando la lettera di Viganò all’opera del diavolo e ha convocato a febbraio un vertice di cardinali e vescovi per discutere la questione degli abusi.

È chiaro che se la chiesa vuole ritrovare la sua autorità morale deve mettere fine all’attuale sistema basato sulla segretezza, gli abusi e l’omofobia. Ma come?

La prima opzione è quella preferita dalla destra cattolica: tutte le persone coinvolte nello scandalo McCarrick dovrebbero dimettersi, compreso, presumibilmente, Francesco; dovrebbe essere avviata un’inchiesta su come hanno fatto preti, vescovi e cardinali gay a diventare così numerosi e potenti; e dovrebbe essere rigidamente applicata la norma del 2005 che prevede l’espulsione dei religiosi gay. Ma per ripulire la chiesa dalle “tendenze omosessuali” bisognerebbe rimuovere un terzo del clero degli Stati Uniti ed espellere decine di vescovi e cardinali, compresi quelli che hanno sempre rispettato il voto di castità, predicato l’ortodossia e vissuto una vita esemplare. Moltissimi cattolici si ritroverebbero senza i loro sacerdoti. Come reagirebbero?

A causa di queste epurazioni la chiesa sarebbe accusata di omofobia e questo provocherebbe dimissioni di massa dei preti e un ulteriore calo delle vocazioni. Per i tradizionalisti, che vorrebbero una chiesa più piccola e più pura, non sarebbe un problema. Ma pochi potenziali pontefici vorrebbero assumersi la responsabilità di questa implosione. E, soprattutto, alla fine la situazione della sessualità nel clero potrebbe peggiorare: la chiesa perderebbe quei preti che sono abbastanza equilibrati da ammettere il loro orientamento sessuale e rimarrebbero solo quelli più profondamente disturbati, quelli che odiano se stessi. I casi di abusi potrebbero aumentare.

La seconda opzione sarebbe fare come nel 2005, quando la chiesa ha detto che i preti gay dovevano essere espulsi e che nessun omosessuale doveva essere ammesso ai seminari, ma poi non fece niente. Sarebbe la scelta peggiore. In passato è stato proprio questo atteggiamento – stigmatizzare i gay e al tempo stesso tenerli nella chiesa – ad alimentare gli abusi.

Una terza opzione sarebbe incoraggiare le persone a uscire allo scoperto. I preti omosessuali dovrebbero fare coming out con i loro superiori e con i parrocchiani, e poi rinnovare in pubblico il voto di castità. Mettendo fine alla cultura della segretezza si sottolineerebbe la distinzione (che la chiesa formalmente riconosce) tra identità e comportamento omosessuale. Questo approccio terrebbe lontane dalla carriera religiosa le persone più disturbate e darebbe dei modelli a quei gay cattolici che sentono il richiamo della castità. Le doppie vite diventerebbero molto meno comuni. Se un prete rispetta il voto di castità e fa un buon lavoro, perché la sua omosessualità dovrebbe essere un problema?

L’unico ostacolo a questa soluzione è l’omofobia ufficiale. Nessun altro gruppo di esseri umani è definito dalla chiesa “oggettivamente disordinato”. A un certo punto si arriva alla conclusione che in fondo è proprio questo il problema: c’è una radicata e tutt’altro che cristiana crudeltà alla base dell’insegnamento della chiesa, un fanatismo che è in netto contrasto con il suo impegno a considerare ogni persona degna di rispetto e protezione. Si basa su una menzogna di cui tutti nella chiesa sono consapevoli, e che la scienza e la storia hanno smascherato. “I vertici della chiesa si stanno arrampicando sugli specchi per condannare in pubblico quello che hanno già accettato in privato”, dice padre Leo. Secondo me l’obiettivo non è liberare la chiesa dall’omosessualità, che fa parte integrante del mistero umano, ma cancellare l’ipocrisia e la disonestà. Impossibile? A volte ammetto di essere profondamente fatalista. Ma, come cattolico, credo anche che per Dio niente sia impossibile.

Coming out e applausi

Una domenica mattina di fine 2017, nella parrocchia conservatrice di Santa Bernadette, a Milwaukee, padre Gregory Greiten era molto nervoso. Il giorno dopo il National Catholic Reporter avrebbe pubblicato un suo articolo in cui dichiarava di essere gay. Nessuno dei suoi parrocchiani lo sapeva, e ora stava per celebrare la messa. Voleva dirglielo prima che la notizia uscisse sul giornale.

Era preoccupato per la sua pensione e la sua assicurazione sanitaria, ma mi ha detto: “Ho pensato: se volete cacciarmi, fate pure. Non voglio mascherarmi da eterosessuale per aiutare la chiesa a ignorare ancora il problema. Ho bevuto quel veleno per quasi tutta la mia vita. Se avete bisogno che io menta su chi sono, allora il sacerdozio è una truffa”.

Non c’era rabbia nella sua voce, solo un leggero accento del midwest. Mi ha detto che il peso della segretezza era insopportabile per molte delle persone come lui. Alcuni si erano suicidati ma la cosa era stata messa a tacere. Sapeva che per lui era relativamente facile uscire allo scoperto perché non aveva mai violato il voto di castità da quando aveva 24 anni. Altri erano più compromessi e avrebbero potuto essere attaccati. Se non avesse preso l’iniziativa lui, chi altro avrebbe potuto farlo?

Quella domenica mattina, quando si è alzato per pronunciare la sua omelia, aveva la bocca asciutta. La chiesa era piena e, quando ha cominciato a raccontare la sua storia, il silenzio era quasi insopportabile. Ha spiegato tutto. Nessuna reazione. Alla fine una donna si è alzata e si è fatta coraggio: “Dio la benedica, padre! Dio la benedica!”. Improvvisamente, tutti si sono alzati in piedi e hanno applaudito. E alla fine dell’omelia c’è stata un’altra ovazione.

Da allora Greg non si è più guardato indietro. L’arcivescovo di Milwaukee ha rilasciato una dichiarazione pubblica, dicendo che non era d’accordo con quello che aveva fatto il sacerdote, ma s’impegnava a trattarlo con “comprensione e compassione”.

“Questo è stato uno degli anni migliori della mia vita”, mi ha detto Greg. “Mi sento molto più vicino a Gesù. Qualcuno mi ha chiesto se sono pentito e gli ho risposto: ‘Lei sa cos’è la libertà? Perché se lo sa non mi dovrebbe fare questa domanda’. Tutte quelle energie spese per crearmi una falsa identità, quelle prese in giro, quella finzione. È tutto finito. Vorrei che altri preti potessero avere un po’ di questa libertà”. Poi ha aggiunto qualcosa di inaspettato. “Voglio dire una cosa su mia madre. Ha fatto per me quello che la chiesa non ha mai fatto, mi ha sempre amato e rispettato per quello che sono e per come Dio mi ha creato”. Forse un giorno anche madre chiesa lo farà.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato il 5 aprile 2019 nel numero 1301 di Internazionale.

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