Nonostante le restrizioni dovute alla pandemia di covid-19, in due regioni una volta rosse – l’Umbria e le Marche – da settimane si protesta contro le politiche antiabortiste delle giunte regionali, guidate dalla Lega e da Fratelli d’Italia, che vogliono limitare l’accesso all’aborto farmacologico e pianificano una versione locale del disegno di legge Pillon su separazione e affido, archiviato al livello nazionale.

Sta facendo da apripista Donatella Tesei, governatrice della Lega nord dell’Umbria, eletta alla guida della regione nel novembre del 2019. Già a giugno la giunta regionale umbra aveva approvato una delibera che vietava l’aborto farmacologico in day hospital e introduceva l’obbligo al ricovero per tre giorni per assumere la pillola RU486, proprio mentre la Società italiana di ginecologia e ostetricia prescriveva il ricorso all’aborto farmacologico per evitare di intasare gli ospedali e le sale operatorie durante la pandemia. Per reazione alle proteste scaturite dalla decisione della governatrice, l’8 agosto il ministero della salute aveva aggiornato le linee d’indirizzo nazionali (ferme da dieci anni), affermando che, vista anche l’emergenza pandemica, l’interruzione volontaria di gravidanza con i farmaci poteva essere effettuata in strutture ambulatoriali e consultori pubblici attrezzati oppure in ospedale, in ricovero ordinario o in day hospital, fino alla nona settimana di gestazione.

Tuttavia l’Umbria ha continuato a ignorare le linee d’indirizzo del ministero, approvate dal Consiglio superiore di sanità, fino a dicembre, quando è stata costretta a rivedere la delibera e ad adeguarsi alle indicazioni del ministero della salute. Tuttavia, denuncia Marina Toschi, ginecologa umbra, socia dell’European society of contraception and reproductive health e presidente dell’Unione donne italiane (Udi), nella regione si può assumere la pillola abortiva solo nelle piccole strutture ospedaliere, mentre gli ospedali più grandi, quelli di Perugia e di Terni, praticano solo l’ivg chirurgica una volta alla settimana. Anche se “al momento a Terni non sta funzionando neppure l’ivg chirurgica e a Perugia si può fare solo la chirurgica una volta alla settimana”, racconta la ginecologa.

Antiabortisti nei consultori
“I due ospedali di Perugia e Terni in dieci anni non hanno mai introdotto l’aborto farmacologico, ed essendo anche ospedali universitari gli studenti nemmeno imparano a somministrare la pillola abortiva. Dato il ristrettissimo numero di strutture sanitarie umbre che offrono questo servizio, sono costretta a mandare moltissime donne ad abortire in Toscana. Non parliamo poi degli ulteriori impedimenti che ci sono stati con l’emergenza coronavirus”, continua Toschi.

“In questo momento di covid-19 in cui servono le sale operatorie, usare l’RU486 sarebbe raccomandabile. Abbiamo scritto una lettera come Udi per capire come mai non si stia usando questo metodo. Il risultato sono liste di attesa molto lunghe per l’ivg chirurgica”, spiega la ginecologa. In tutta Italia la pillola abortiva non è diffusa come in altri paesi d’Europa soprattutto a causa di ragioni culturali. A fine novembre i consiglieri regionali della Lega sono tornati su questi temi e hanno presentato un progetto di legge che modifica il testo unico in materia di sanità, per sostenere le politiche “per la famiglia” naturale, venendo incontro alle richieste dei gruppi prolife e antiabortisti che sono stati una parte importante della base elettorale della Lega alle elezioni regionali.

Tra le misure presenti nella proposta di legge c’è la possibilità che i movimenti per la vita cattolici possano entrare nei consultori per convincere le donne a non abortire oppure per diffondere i metodi di contraccezione naturale. “Si permette a degli estremisti cattolici di entrare nei consultori pubblici, laici. Quando questi gruppi hanno già molti centri privati attivi sul territorio per le donne che vogliono rivolgersi a loro”, spiega Toschi.

“Nella proposta di legge si parla dell’embrione come del ‘nascituro’ e di ‘vita nascente’”, continua la ginecologa. “Sembra che le sentenze della cassazione sulla legge 40 non ci siano state”, conclude. A Marsciano, in provincia di Perugia, l’Associazione nazionale delle famiglie numerose sta promuovendo, con il patrocinio del comune, un corso triennale per la formazione di consulenti della coppia e della famiglia, da impiegare nei consultori in seguito all’approvazione del piano.

Altri punti critici del progetto di legge riguardano l’istituzione della mediazione familiare obbligatoria in caso di separazione, anche in presenza di violenza domestica, come era previsto dal disegno di legge presentato da Simone Pillon, il senatore della Lega e attivista dei movimenti prolife che abita proprio in Umbria, a Corciano. Per Sara Pasquino, avvocata della rete RU2020, “la proposta di legge regionale è un ddl Pillon scritto meglio. Prevede un welfare specifico per la famiglia tradizionale, che quasi non esiste più. In caso di separazione parla di affido condiviso dei minori, non si fa mai riferimento alla violenza di genere e alla violenza domestica, né alla convenzione di Istanbul contro la violenza di genere”.

La rete RU2020, nata nel giugno del 2020 contro la decisione di vietare il day hospital per la pillola abortiva, raggruppa diverse associazioni e collettivi femministi locali e nazionali, e definisce l’Umbria “un laboratorio per le destre, contro la libertà delle donne” sui temi tradizionali dell’antiabortismo e del divorzio, come era previsto dal programma con cui Tesei ha vinto le elezioni nel 2019.

E in effetti anche altre regioni dell’Italia centrale stanno seguendo le orme della giunta Tesei: in particolare le Marche e l’Abruzzo. Nelle Marche l’assessore Filippo Saltamartini ha annunciato che l’aborto farmacologico non sarà eseguito nei consultori. “Le linee guida del ministero non sono fonti del diritto e quindi non le applichiamo”, ha detto Saltamartini, scatenando proteste che hanno portato in piazza migliaia di donne ad Ancona e in altre città delle Marche, il 6 febbraio.

Il capogruppo al consiglio regionale di Fratelli d’Italia Carlo Ciccioli aveva parlato addirittura del pericolo di una “sostituzione etnica” a causa della diminuzione della natalità nel paese per giustificare le limitazioni all’uso della pillola abortiva che si intendono introdurre. “La situazione nelle Marche era già difficile prima dell’arrivo di questa giunta guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia”, spiega Sara Spina della rete femminista “Le donne avanzano”.

“Nelle Marche il livello di obiezione è molto alto, in alcuni ospedali non c’è la possibilità di fare l’ivg, la pillola RU486 è stata usata per lungo tempo solo in tre ospedali nella regione”, continua l’attivista, secondo cui questo sarà uno dei temi della prossima mobilitazione prevista per l’8 marzo. Ma in tempi di coronavirus, anche le proteste diventano difficili. “È chiaro che in questo momento è molto complicato portare le persone in piazza, molte donne sono interessate a quello che sta succedendo, ma organizzare manifestazioni è quasi impossibile, questo ci preoccupa e va solo in favore della giunta attuale e delle sue politiche”, conclude Spina.

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it