Una donna con indosso una vestaglia cammina lentamente per strada, con le braccia lungo i fianchi, come se non sapesse dove andare. Un’altra donna spinge un carretto arrugginito in cui sono ammassati ceppi di legno. Attorno a una camionetta, un gruppo di persone attende in silenzio la distribuzione di una Bibbia e di un sacco pieno di aiuti umanitari. Dopo sei mesi di occupazione russa a Izjum, nella parte orientale dell’Ucraina, le famiglie e i bambini hanno lo sguardo assente. Sul viso di qualcuno scendono le lacrime, senza alcun singhiozzo. Nessuno ci fa caso. Qui, dopo la liberazione della città a metà settembre, i morti fanno parlare più dei vivi.
Durante un’operazione di sminamento in una pineta, infatti, sono state scoperte per caso 445 tombe all’esterno del cimitero Shakespeare (si chiama davvero così), nei pressi della via d’accesso orientale di Izjum. Da allora il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e decine di esperti, medici, magistrati, specialisti in crimini di guerra, militari e giornalisti hanno percorso il sentiero che attraversa i grandi pini e conduce alle sepolture, semplici tumuli di terra con una croce di legno. A volte le tombe recano un nome. Molto più spesso soltanto un numero.
Le immagini hanno fatto il giro del mondo, trasformando Izjum nella “città dei morti”. Il capo dello stato ucraino ha immediatamente preteso che sia fatta luce. Tutti i corpi saranno sottoposti ad autopsia e saranno oggetto di un’indagine. Ma cos’è accaduto? Chi sono questi morti? Perché si trovano in quella pineta?
Luogo principale di sepoltura
Nel centro di Izjum, al pianoterra di un immobile, c’è una targa discreta con un numero di telefono e un messaggio: “Servizio funebre e monumenti funerari 24 ore al giorno”. Vitaly, 55 anni, ci lavora dal 2004 insieme a nove dipendenti. È lui che si è occupato delle sepolture nel cimitero Shakespeare. Negli ultimi sei mesi la sua squadra ha gestito un numero di sepolture cinque volte superiore rispetto ai tempi di pace. Vitaly è convinto che i morti siano tutti civili, con poche eccezioni.
Ricorda ancora l’inizio dell’invasione russa, a febbraio. Le bombe, “le strade piene di cadaveri”, i 114 corpi trovati dopo il bombardamento di due edifici nei pressi del fiume, a metà marzo. “All’inizio gli occupanti avevano vietato qualsiasi sepoltura, dicendo che ci avrebbero pensato loro”, racconta Vitaly. Ma il ponte che collega la città alla rete viaria era stato distrutto, dunque i corpi dovevano essere trasportati uno a uno, a piedi, su una passerella. Così l’esercito russo aveva rinunciato concedendo un’autorizzazione a Vitaly.
La maggior parte delle persone sepolte ha trovato una morte violenta: bombardamenti o combattimenti. I corpi sono martoriati
Il cimitero Shakespeare era stato indicato come luogo principale di sepoltura. Gli occupanti avevano già installato una delle loro basi nella pineta circostante e questo gli avrebbe permesso di controllare le operazioni. Inoltre alcune installazioni strategiche russe erano state piazzate un po’ più lontano, nel bosco, subito dietro il cimitero. I seppellitori non potevano avvicinarsi a quella zona.
Bisognava che le sepolture fossero scavate davanti al cimitero, fuori delle mura.
“Dovevamo lavorare a tutta velocità e sotto i bombardamenti continui”, racconta Vitaly. “Arrivavamo in cinque o sei, trasportando diversi corpi”. Vitaly e i suoi venivano picchiati ripetutamente dai militari che li accusavano di essere spie delle forze ucraine. “Lavoravamo gratis, pagati soltanto in cibo e gasolio”. Sopra la sede dell’agenzia funebre, una donna si affaccia alla finestra e dice che in città mancano acqua, elettricità e gas. Oggi alcune porte conservano le scritte fatte al tempo dell’invasione russa. “Qui vivono donne e bambini”. Un negozio assicura di non avere “né birra né vodka”.
A volte Vitaly non trovava il legno per le croci delle sepolture. “In quel caso conficcavamo un piccolo bastone nel tumulo”. Spesso non c’era tempo per le targhe. “Scrivevamo un numero sulla tomba e in un quaderno riportavo il nome, la data e il luogo in cui avevamo trovato il corpo”. Il “libro dei morti” di Vitaly è stato confiscato dagli inquirenti.
Aritmetica macabra
Sotto il numero 1, quello del primo decesso registrato, c’è la data “3 o 4 marzo”. Sotto l’ultimo, il 455, è riportato il 15 settembre, all’indomani della scoperta del sito. Vitaly ha fatto le sue stime. Secondo lui resta da identificare ancora una ventina di persone. Altre venti circa sarebbero morte per colpi di arma da fuoco, probabilmente giustiziate. La maggior parte delle persone sepolte ha trovato una morte violenta: bombardamenti o combattimenti. I corpi sono martoriati. Ma il conto ufficiale non si ferma lì, diventa vertiginoso. A Izjum esistono altri sei cimiteri, in cui Vitaly racconta di aver aiutato alcune famiglie a seppellire altri 300 corpi, prestandogli un furgone o scavando la fossa. “In generale ci proibivano di andare lì, perché erano minati”. Inoltre molti abitanti avrebbero sepolto i loro cari nei cortili e negli orti.
Già prima della liberazione di Izjum le autorità ucraine affermavano di avere informazioni allarmanti sulla città, con resoconti di torture, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. “Vedrete, scopriremo una situazione peggiore di quella di Buča (la città martire nei pressi di Kiev)”, aveva dichiarato a luglio Oleh Synehubov, governatore della regione. L’aritmetica macabra, dunque, non è ancora completa, e potrebbe diventare addirittura folle: si pensa che altri luoghi di sepoltura possano ancora essere scoperti. Secondo Vitaly “quando torturavano qualcuno, i russi si occupavano personalmente dei cadaveri”. I corpi di alcuni uomini con le mani legate sarebbero stati ritrovati lungo il fiume.
A Izjum circolano anche voci insistenti su un centro di tortura creato dai militari russi all’interno del commissariato. Visitare la struttura è impossibile anche per la polizia ucraina. “L’edificio non è ancora in sicurezza”, spiega un agente. Una sede provvisoria è stata allestita in un checkpoint all’altezza di uno degli incroci principali del centro abitato. Sotto una pensilina per gli autobus alcune persone stanno sedute con gli occhi bassi e i documenti d’identità sulle ginocchia. Sono accusate di aver collaborato con i russi e attendono di essere interrogate.
Nella pineta il percorso verso il cimitero Shakespeare sale tra gli alberi nella luce d’autunno. Solchi profondi segnano i luoghi in cui le truppe russe nascondevano i loro carri, mentre il fogliame copre una base improvvisata dove sono ancora visibili le tracce lasciate dagli occupanti: un paio di guanti, barattoli di latta. Le tombe sono un po’ più in alto. Operai vestiti di blu e armati di vanga si affannano sul bordo delle sepolture. Tra il 14 e il 17 settembre sono stati esumati e affidati ai medici legali i corpi di 16 uomini e 26 donne. Si aggiungono quelli dei 17 soldati ucraini trovati in una fossa comune, l’unica scoperta sul sito, almeno finora. Sono stati sepolti dai russi e ancora non si sa nulla di loro, spiega Vitaly.
Oleksander Kovalchuk si raccoglie davanti alla tomba della madre, morta per mancanza di medicine e cure. Kovalchuk non ha più nemmeno una foto della donna. Le conservava nel telefono. “Le ho cancellate perché i russi controllavano tutto”. Era rischioso conservare immagini, anche quelle di famiglia. Per la sepoltura della madre, Kovalchuk ha avuto fortuna: ha trovato una croce, una bara, un mazzo di fiori di plastica e una targa con il suo nome. “Ha avuto tutto”. Qual è la data del decesso? Gli occhi di Kovalchuk si riempiono di lacrime. Non sa rispondere. La guerra, i russi, tutto si confonde attorno a una tomba dove non poteva andare. Si avvicina alla targa e legge: “Galina Vlasenko, nata il 7 marzo 1953, morta il 18 maggio 2022. Numero 342”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.
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