A Collegno, in un edificio bianco un tempo usato come camera mortuaria, oggi si aiuta chi ha una dipendenza dall’eroina. Mentre questa droga continua a essere molto diffusa e i fondi destinati ai servizi per la riduzione del danno diminuiscono, qui si continua a dare informazioni a chi ne ha bisogno, ma anche siringhe sterili e naloxone da iniettare in caso di overdose.
Il comune a dieci chilometri da Torino è dunque un buon posto da dove osservare cosa si sta facendo in Italia per affrontare un tema che finisce sui giornali solo quando muore qualcuno, ma che invece riguarda la vita di centinaia di migliaia di persone.
Secondo il governo in Italia sono circa 800mila quelle che hanno fatto uso di eroina almeno una volta nella vita. La sociologa Sonia Bergamo si è occupata a lungo del problema e spiega che a fronte di questa cifra, le unità mobili e i drop-in come PuntoFermo a Collegno, posti dove si fa prevenzione e riduzione del danno, sono solo 104. Più della metà è gestita da associazioni e cooperative, gli altri dalle aziende sanitarie locali (Asl) e dai comuni. Sono tutti concentrati tra Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio, mentre nel meridione quasi non ce ne sono.
Le storie
In quello di Collegno in media passano tra le quindici e le venti persone al giorno, quasi tutti uomini tra i quaranta e i sessant’anni, e quasi tutti consumatori cronici. Dario, un uomo di 46 anni con i capelli rasati e un ciuffo lungo sugli occhi, trascorre lì tutti i suoi giorni. Di notte dorme in un comune vicino, a Rivoli, in un vecchio autobus per il trasporto urbano trasformato in dormitorio da un’associazione di volontari, l’Isola di Arran. Dentro ci sono undici posti letto.
“Sono un sopravvissuto”, dice Dario, che da quasi vent’anni convive con il virus dell’hiv. Racconta di averlo contratto durante la sua prima grande storia d’amore, quella con la vicina di casa del paese dove è cresciuto, in Val di Susa. Era rimasto solo da poco: sua madre era morta per una ferita da taglio dopo una lite con il padre. L’uomo diceva di non averla voluta uccidere, ma è finito lo stesso in carcere. “Io gli ho sempre creduto”, dice Dario, “erano entrambi alcolizzati e il coltello deve essere partito di mano”.
La prima “spada” – così chiama l’iniezione – se la fece quando era già sieropositivo. Più che per provare piacere, dice, “per sentire meno il dolore”. Da allora – nonostante vari periodi in comunità – non è mai riuscito a smettere. Ora è disoccupato, ma fino a tre anni fa lavorava come magazziniere in un supermercato. “Questo posto è la mia casa”, dice.
Pino è d’accordo. Per lui il centro di Collegno è un luogo dove “si riesce a trovare un po’ di pace”. Non ama parlare, ma i tatuaggi dicono molto di lui. Sulle braccia ha scritto i nomi dei due figli, mentre sulla schiena c’è disegnata la testa di un dragone. Gliel’ha fatta un altro detenuto quando era in carcere, in cambio di una torta gelato.
Dopo pranzo abbassa sugli occhi un paio di occhiali da sole a specchio e si addormenta sul divano di una stanza vicino all’ingresso principale. Per lui, come per gli altri che vengono qui, quella è la “stanza del buco”, il luogo sicuro e riparato dove si può consumare eroina senza la paura di morire, come invece può succedere in luoghi isolati o in situazioni precarie.
Dalla Spagna all’Italia
“Più volte siamo intervenuti con persone in overdose”, racconta Volfango Maria Coppola, uno degli operatori di PuntoFermo. Secondo i dati sulle morti per overdose in Italia, circa l’80 per cento avviene quando il consumatore è da solo.
Da qualche tempo a Collegno fanno anche l’esame chimico delle sostanze. Se ne trovano di pericolose le segnalano a una rete locale di operatori. Un paio di anni fa proprio a Torino è circolata un’eroina con una percentuale di principio attivo fino a cinque volte più alta della media. “Monitorare cosa gira sul mercato è importantissimo”, dice Coppola, riferendosi soprattutto alle droghe sintetiche, in continua evoluzione. A Roma alla fine dello scorso febbraio è stata sequestrata una miscela psicoattiva talmente tossica che 20 grammi sarebbero bastati a fabbricare 20mila dosi.
“È inutile giudicare o proibire di drogarsi a una persona che per varie ragione non riesce a smettere, ma si può aiutarla a vivere meglio e più a lungo”, spiega Coppola. A Collegno la stanza dove le persone possono consumare eroina è autogestita e pulita a rotazione da chi la usa. Le siringhe usate sono buttate in dei contenitori e sono smaltite con le dovute precauzioni.
Inoltre, non si spaccia: i consumatori si organizzano in “gruppi di acquisto”, dove è uno che va a comprare per gli altri. “Tutti sanno cosa accade in questa stanza”, racconta Coppola, “ma nessuno si lamenta perché di fatto conviene non solo a chi ne fa uso, ma anche ai frequentatori del parco qui dietro che non trovano siringhe o altre tracce del consumo”.
A Torino e nei dintorni questo è il luogo più simile alle stanze del consumo previste dai programmi di riduzione del danno in molti paesi europei. Nelle novanta injecting rooms registrate dalla Norvegia alla Spagna, si può consumare eroina in un ambiente igienicamente controllato, con infermieri e personale medico. E non è mai morto nessuno.
“A Zurigo le cose funzionano benissimo”, dice Gianni, 56 anni, ex insegnante delle elementari. Ha cominciato a fare uso di eroina nella seconda metà degli anni settanta, quando ascoltava i Clash e indossava il kilt. “Farsi le canne era da figli dei fiori, per questo ho cominciato subito con le pere”, racconta. Passato il periodo punk era riuscito a condurre una vita “discretamente equilibrata”, assumendo eroina solo di rado. “Dovevo essere sempre lucido per i miei studenti”, dice.
Poi qualcuno – secondo Gianni un genitore che lo incontrava nel quartiere – ha fatto una segnalazione al preside, che gli ha imposto di fare degli esami del sangue. A quel punto ha perso il lavoro e la sua esistenza è cambiata. Ora ogni mattina ingerisce mezza boccetta di metadone e si mantiene grazie al reddito di inclusione di 187 euro al mese. Qualche settimana fa ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza. Gianni è attivo nei programmi di mutuo aiuto per tossicodipendenti e nelle associazioni di consumatori come la Euronpud e la Itanpud, nata proprio a Torino.
Laboratori
“Il capoluogo piemontese, e più in generale l’intera regione, sono sempre stati dei punti di riferimento nel campo della riduzione del danno”, racconta Maria Teresa Ninni, educatrice del drop-in di Torino in corso Svizzera. Questo perché fin dagli inizi “ha funzionato bene la collaborazione tra pubblico e associazioni private, e i servizi per la riduzione del danno sono stati direttamente gestiti dall’amministrazione locale”.
Nel 1997 Torino è stata la prima città in Italia ad aprire un drop-in, nato dalla collaborazione tra il Gruppo Abele – l’associazione fondata da don Luigi Ciotti nel 1965 –, alcuni gruppi di autoaiuto già operativi sul territorio e un’asl. “Il movimento è nato al livello europeo soprattutto come reazione alla diffusione dell’hiv”, racconta Ninni, che già negli anni novanta organizzava incontri, distribuiva siringhe sterili con un gruppo che si chiamava Fluxo e aveva cofondato la rivista Polvere, pubblicata ancora oggi da e per consumatori.
Il drop-in dove lavora Ninni è aperto solo il pomeriggio e ci passano anche cento persone al giorno. Anche qui si tratta nella maggior parte dei casi di uomini con più di quarant’anni. Il mercoledì mattina il centro apre solo alle donne che vivono o lavorano per strada, e che qui vengono a prendersi cura di sé per qualche ora “facendosi una doccia, una tinta ai capelli”, racconta Ninni. “In generale chi arriva a rivolgersi ai drop-in fa parte della categoria più fragile” continua. Ma fuori i consumatori sono tanti e non è più come una volta.
Nuovi consumatori
Il mercato e il consumo della droga sono cambiati. Tuttavia, è difficile riportare dati attendibili su chi ne fa uso: solitamente si fa riferimento al numero di persone che si rivolgono a servizi, a quello delle sostanze sequestrate, o all’analisi delle acque metropolitane, in Italia realizzato l’ultima volta nel 2014 dall’istituto Mario Negri.
In generale, spiega Ninni, un tempo la cocaina era “la droga dei ricchi”, mentre l’eroina di quelli che erano disposti a bucarsi. “Oggi non ci sono più molte distinzioni, si consuma tutto quello che c’è sul mercato”.
Inoltre, si è diffuso l’uso di fumare l’eroina, così chi la assume non è più stigmatizzato come “tossico”. Tra i consumatori più giovani circolano droghe sintetiche usate alle feste e ai rave, spesso comprate online. Per questo sempre nell’area di Torino – e di nuovo in una collaborazione tra pubblico e privato – è nato il progetto Neutravel, che offre informazioni e assistenza sanitaria ai rave, e che da poco ha lanciato una raccolta fondi per lavorare in modo più capillare.
“Oltre a consolidare l’attività dei drop-in, dovremmo aprire centri più inclusivi”, sostiene Ninni. “Centri dove si parla di droga e di dipendenze, servizi meno connotati, aperti alla cittadinanza”, continua, “perché la riduzione del danno è prima di tutto una battaglia culturale”.
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