Prima puntata di un’inchiesta in due parti. La seconda si può leggere qui.
Nei primi giorni del maggio 2023, e di nuovo due settimane dopo, sull’Emilia orientale e sulla Romagna si abbattono forti nubifragi. La popolazione è colta di sorpresa: si viene da un lungo periodo di siccità.
Fin dalle prime ore il territorio si rivela incapace di reggere l’urto. I fiumi e torrenti che scendono dall’Appennino – Idice, Lamone, Montone, Santerno, Savena, Senio, Sillaro e altri – si gonfiano e scavalcano gli argini, quando non li sfondano e spazzano via.
L’Appennino stesso si sgretola: quasi trecento frane dissolvono crinali e pendii, isolano paesi e aggiungono altra melma alle ondate che travolgono la pianura tra Bologna e il mare. Strade e ferrovie, zone industriali, centri abitati, tutto soffoca nel fango. Tornato il sole, si contano diciassette morti, sessantamila persone evacuate e danni per miliardi di euro.
La melma, il cemento, le nutrie
“Fango” non rende l’idea: a coprire la pianura è una fanghiglia tra il verdastro e l’arancione, tanto puzzolente da togliere il respiro, piena di escrementi e veleni. Appena oltre gli argini l’acqua ha trovato lo sprawl, l’urbanizzazione selvaggia della terza regione più cementificata d’Italia, sia in assoluto – 200.320 ettari di suolo consumato – sia per incremento netto nel solo 2021, 658 ettari persi, dei quali 501,9 in aree a media pericolosità idraulica.
A dispetto di un’autonarrazione trionfalistica, il territorio dell’Emilia-Romagna è molto fragile. Se l’Appennino è dissestato, la bassa è tutta pianura alluvionale, in buona parte risultato di grandi bonifiche, sottratta alle acque con mezzi meccanici. Terra che rimane emersa grazie al lavoro costante di impianti idrovori e migliaia di chilometri di canali. Un territorio sempre in bilico, in cui si dovrebbe costruire con prudenza e parsimonia. Si fa l’esatto opposto.
Nel 2017 la regione si è dotata di una legge contro il consumo di suolo, la cui entrata in vigore è stata più volte prorogata. Legge, in ogni caso, criticata da esperti e addetti ai lavori – si veda la raccolta di saggi critici e interventi Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna – perché in pratica favorisce il fenomeno che deve contrastare.
Un ettaro di terreno libero può assorbire fino a 3.750 tonnellate d’acqua. Acqua che scende e ricarica le falde. Su una lastra di cemento o asfalto, invece, l’acqua rimbalza e accelera la corsa. Ma non si tratta solo di questo. Nello sprawl emiliano-romagnolo l’acqua ha fatto scoppiare le fogne, ha rovesciato cassonetti e attraversato discariche, ha razziato case, fabbriche, negozi, distributori, autorimesse e magazzini, trascinando con sé detersivi, cosmetici, fitofarmaci, pesticidi, fertilizzanti e tonnellate di plastica destinata a diventare microplastica, ha inondato allevamenti intensivi e trasportato nei dintorni corpi di animali annegati.
“Consumo di suolo” significa urbanizzazione e sempre maggiore diffusione di materiali nocivi, anche in zone a rischio idraulico. Come è accaduto in Emilia-Romagna, presto o tardi l’acqua trova quei materiali, li trascina con sé e li sparge nel territorio.
L’ammasso di bombe chimiche e batteriologiche rimane sui territori per giorni. Conselice, in provincia di Ravenna, è la cittadina simbolo della catastrofe: resta invasa dai liquami per due settimane, il tanfo che la attanaglia si sente a chilometri di distanza. “Sopra quella putredine batteva il sole a picco / quasi volesse rosolarla a punto”, Charles Baudelaire, La carogna, nella traduzione di Gesualdo Bufalino.
Quando si riesce a far defluire la melma – nell’Adriatico, dove altrimenti? – e le vie tornano asciutte, dei probabili effetti su ambiente e salute non si parla più. Il tema scompare dal discorso pubblico.
Le cause di questo e analoghi disastri sono note. Il riscaldamento globale provoca un’alternanza tra lunghi periodi di siccità e nubifragi, il cosiddetto climate whiplash, effetto colpo di frusta. Allo stesso tempo, esondazioni e distruzioni sono l’esito di politiche che da più di mezzo secolo deturpano il territorio. A partire dai suoi corsi d’acqua, deviati, resi più artificiali, privati delle loro curve, sinuosità e naturali zone d’espansione per lasciare spazio al cemento, spesso anche “tombati”, come il Ravone a Bologna, che nel maggio scorso si è gonfiato ed è tornato in superficie prendendosi via Saffi, una delle principali arterie cittadine.
I boschi ripariali, che manterrebbero gli argini coesi e assorbirebbero l’acqua straripante, sono distrutti con ruspe e motoseghe. Anche abitudini in apparenza banali, improntate al decoro e tipiche di ogni amministrazione locale, si rivelano catastrofiche. Perfino nel pieno di una grave siccità si falcia l’erba dei parchi, dei prati, lungo le strade, sui cigli dei fossi e sugli argini, rasando a zero o quasi. L’erba alta è vista come un esempio di degrado. Ma il suolo, esposto al sole battente, si surriscalda, si secca e muore.
Fa scalpore che a essere messa in ginocchio sia una delle cosiddette locomotive d’Italia, regione virtuosa che ogni giorno si vanta delle sue eccellenze. Sebbene il presidente Stefano Bonaccini ripeta che “non è il momento delle polemiche”, voci autorevoli denunciano lo stato del territorio da ogni punto di vista: geologico, urbanistico, geografico, naturalistico, giuridico, storico. Voci che arrivano dall’Istituto superiore per la ricerca ambientale, dal Consiglio nazionale delle ricerche, dai comitati scientifici delle associazioni ambientaliste storiche. Il Cnr di Bologna lancia un “appello sulla crisi eco-climatica globale”. In poco tempo raccoglie oltre un migliaio di firme.
Ma gli amministratori locali non prestano ascolto a queste voci. Non solo non ammettono responsabilità, ma mettono in circolazione narrazioni diversive incentrate su capri espiatori. Il sindaco di Ravenna Michele De Pascale dà la colpa dell’alluvione alle nutrie, che scavano le loro tane negli argini, e a non meglio precisati ambientalisti che impedirebbero di abbattere le nutrie e gli avrebbero inviato “minacce di morte”. C’è un ovvio nucleo di verità: le nutrie proliferano e bucano gli argini, ma nell’insieme dei processi fin qui descritti hanno un ruolo secondario, e certo non sono colpevoli dello sprawl, dello stato in cui le piogge trovano il territorio.
Riguardo agli ambientalisti, De Pascale è noto per l’indifferenza verso le loro critiche. Ha tirato diritto sull’installazione di un rigassificatore da un miliardo di euro nel mare di fronte alla città e “difende a spada tratta”, come scrive il movimento civico Ravenna in comune, “ogni nuovo via libera alla cementificazione che la sua giunta sparge come il riso ai matrimoni”. Il comune di Ravenna ha il record regionale di consumo di suolo: nel 2021 ne sono spariti 69 ettari, per un totale di più di settemila. Se De Pascale non ha fatto abbattere le nutrie, non è certo per timore di presunti ecologisti. Prima di lui, il sindaco di Massalombarda Daniele Bassi aveva puntato il dito contro gli istrici.
Come si vede, nella fase iniziale le narrazioni diversive sull’alluvione si muovono dall’alto verso il basso: a introdurle nel ciclo mediatico sono rappresentanti delle istituzioni. E se gli esempi sono questi, davvero possiamo biasimare le cittadine e cittadini comuni che nelle stesse ore, su internet, “fanno le loro ricerche”?
Da alcuni anni l’espressione “do one’s own research” ha assunto una connotazione ironica. Indica la pulsione a stabilire a grande velocità correlazioni spurie su cui si formano fantasie di complotto.
L’aereo di Red Ronnie
In Emilia-Romagna ha appena smesso di piovere quando nelle chat e sui social network si comincia a parlare di un “aereo misterioso”, un bimotore che il 14 maggio avrebbe sorvolato a lungo le zone poi colpite dalle alluvioni, in particolare i dintorni di Cesena, eseguendo “strane manovre”, cambiando traiettoria più volte, come per tracciare invisibili scarabocchi in cielo.
Il mistero diventa sospetto e poi certezza: quell’aereo stava disseminando nelle nuvole sostanze chimiche, allo scopo di provocare le piogge dei giorni seguenti. L’ennesimo blitz di una presunta guerra climatica in corso da anni, condotta da poteri occulti contro l’occidente, per alimentare la convinzione che il riscaldamento globale sia causato dal nostro stile di vita, costringerci a cambiarlo, abbassando le difese della nostra civiltà.
Nel biennio 2022-2023 questi aerei misteriosi sono stati avvistati in varie parti del mondo, sempre all’indomani di nubifragi, tempeste, alluvioni. Per esempio in Australia nella primavera 2022 e in Nuova Zelanda nell’inverno 2023. Ancora prima, nel 2014-2015, erano stati avvistati in California. In quel caso la loro presunta missione non era causare tempeste ma siccità.
Qualcuno cerca l’aereo che ha sorvolato la Romagna sui siti Flightradar24 e FlightAware, scoprendo che è un Beechcraft Super King Air B200 della compagnia francese Aéro Sotravia, marca d’immatricolazione F-gjfa. Il suo volo è siglato Asr153. Decollato il 14 maggio alle 12:12 da Ancona, è atterrato a Bologna alle 18. Sul cesenate, in effetti, ha seguito traiettorie aggrovigliate.
Dunque del volo è disponibile ogni dato, e fin da subito. Per scoprirne anche lo scopo basterebbe un piccolo sforzo, ma nessuno di quelli che denunciano la guerra climatica ha in mente di compierlo. È più comodo, più aerodinamico saltare a conclusioni, prendere le scorciatoie dove il pensiero trova meno attrito, abbandonarsi alle spinte di pregiudizi cognitivi.
Per primo il pregiudizio di intenzionalità, in base a cui cui ogni evento è l’esito diretto di un agire premeditato, insieme a quello di proporzionalità: se l’evento ha conseguenze su vasta scala, dev’essere vasto anche il piano messo in atto. C’è poi il primacy effect: la nostra mente tende a dare maggiore rilievo e plausibilità alla prima spiegazione che riceve, a maggior ragione se solletica i bias, pregiudizi, di intenzionalità/proporzionalità e se colma un vuoto di senso.
All’indomani delle alluvioni, gli amministratori, invece di parlare delle cause principali, hanno dato la colpa alle nutrie, agli istrici, alla sfortuna. Ciò ha contribuito a creare un vuoto, che la storia dell’aereo misterioso ha riempito.
A seguire, è scattato il pregiudizio di conferma: dopo che ci si è fatta un’idea, si tende a scartare o sminuire ogni fonte che la metta in discussione.
Resistere a questi bias è difficile. Collegare l’alluvione al centro commerciale vicino a casa, alle villette a schiera che gli stanno attorno, al nuovo parcheggio che è tanto comodo, al rumore di motoseghe e decespugliatori che ogni tanto entra dalla finestra, ai pennacchi di fumo che escono da comignoli e ciminiere richiede fatica cognitiva. È più facile immaginare il grande piano segreto che figurarsi i molteplici flussi, progetti, processi, interessi, automatismi, consuetudini e spinte inerziali che ogni giorno muovono il capitalismo.
La storia dell’aereo misterioso è presto rilanciata dal bolognese Gabriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, giornalista e conduttore televisivo, un tempo vicino al centrodestra, oggi ai margini del mainstream anche per via di tesi azzardate su cui fioccano battute e imitazioni.
Ammettere di aver preso una posizione sbagliata costa fatica cognitiva
Il 18 maggio Ansaloni pubblica un video intitolato Bologna oggi, non piove. Ma chi ha provocato questo disastro? Misterioso volo insistente di un aereo. Lo schermo è diviso in due. A sinistra la scheda del B200 ripresa da Flightradar24: data, rotta, tipo di aereo, quota mantenuta; a destra via Indipendenza, a Bologna, filmata da Ansaloni mentre cammina e domanda: “Qualcuno mi può spiegare perché questo aereo ha fatto tutte queste rotte? Non so, attenzione, non che io pensi male, però se qualcuno me lo spiega, io sarei molto felice, anche per fugare tutti quei complottisti che dicono che esistono le scie chimiche. La stessa cosa accadde giù nelle Marche, o in Umbria, non mi ricordo più, un aereo fece molti giri su in cielo poi ci fu l’alluvione. C’è anche qualcuno, chiaramente in malafede che dice che il terremoto in Turchia è accaduto dopo dei lampi incredibili…”.
Da quel momento la fantasia di complotto esce dalle nicchie e ha una vasta, anche se momentanea, diffusione. Fra i detrattori, il bimotore diventa “l’aereo di Red Ronnie”.
Eppure l’idea fa presa. Perfino lo scrittore e opinionista Stefano Massini, in un monologo durante la trasmissione Piazzapulita su La7, sembra alludere all’aereo misterioso, o almeno collegare le alluvioni al cloud seeding, l’inseminazione delle nuvole: “Ogni volta che vedo le immagini terrificanti che vengono, come in questo caso, dall’Emilia-Romagna, io non riesco a non pensare a questo pianeta Terra usato da noi uomini come un giocattolo dove [l’uomo] si è addirittura convinto di riuscire esattamente come dio a comandare il clima bombardando le nuvole, decidendo se far piovere o non far piovere”.
Nel frattempo la spiegazione è arrivata, qualcuno la scrive anche nei commenti in calce al video di Red Ronnie. Il B200 è l’aereo che segue il Giro d’Italia e fa da ponte radio alle riprese tv. A ogni suo viaggio recente corrisponde una tappa della gara ciclistica. Il 14 maggio si svolgeva la nona tappa, da Savignano sul Rubicone a Cesena. L’aereo vola in quel modo perché, viaggiando molto più veloce dei ciclisti, per ricevere i segnali delle riprese da quad, furgoni ed elicotteri deve continuamente tornare indietro.
Ora tocca al pregiudizio chiamato “intensificazione dell’impegno”, che spinge a tenere il punto contro ogni evidenza. Ammettere di aver preso una posizione sbagliata costa fatica cognitiva, a maggior ragione se ci si è espressi in pubblico e con i toni drastici tipici delle schermaglie sui social network. Ecco perché chi ha sposato la tesi dell’alluvione provocata dal cloud seeding incorpora la spiegazione nella fantasia di complotto: il compito di fare da ponte radio per il Giro è solo “un’ottima copertura”.
Cloud seeding e guerra climatica
Il cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, nasce nel dopoguerra. Gli esperimenti cominciano nel 1946, nei cieli di Schenectady, nello stato di New York, su iniziativa di scienziati stipendiati dalla General Electric. Uno di loro è Bernard Vonnegut, fratello maggiore di Kurt, futuro romanziere. All’epoca anche Kurt lavora alla General Electric, ma all’ufficio stampa.
Nelle prime inseminazioni si usa ghiaccio secco, cioè anidride carbonica allo stato solido, poi Bernard scopre che spargendo ioduro d’argento si ottengono risultati migliori, o almeno così sembra.
I militari tendono subito le antenne. Dopo la bomba atomica, forse si è scoperta un’arma ancora più potente: il controllo del clima. In accordo con la General Electric, l’esercito coopta gli scienziati nel cosiddetto progetto Cirrus. Nel nuovo contesto Bernard, pacifista, si trova sempre più a disagio, finché non dà le dimissioni. La storia è ricostruita nella sontuosa biografia di Ginger Strand I fratelli Vonnegut. Fanta-scienza nella Casa della magia, da poco uscita in italiano per Treccani.
Le ricerche dei militari proseguono. Il cloud seeding è usato a fini bellici durante la guerra del Vietnam. L’operazione viene chiamata Popeye: dal marzo 1967 al luglio 1972 – si scoprirà con la pubblicazione dei celebri Pentagon papers – l’aviazione statunitense cerca di prolungare le stagioni dei monsoni per sabotare le operazioni delle forze nord-vietnamite. Non è chiaro se e in che misura l’operazione ottenga risultati. Ed è proprio questo il punto.
Nell’atmosfera non si possono fare esperimenti controllati, cioè cambiando una variabile alla volta. Non si può dire con certezza cosa sarebbe successo in una certa area se non si fossero inseminate le nuvole. Quindi non c’è modo di stabilire un nesso causa-effetto tra cloud seeding e piogge. Per questo, quasi ottant’anni dopo i primi esperimenti, restano forti dubbi sull’efficacia di questa tecnica.
Come racconta Strand, tra il 1946 e il 1951 la stampa statunitense descrisse il cloud seeding come un deus ex machina che avrebbe abolito la siccità, trasformato i deserti in giardini, spento gli incendi e deviato gli uragani. Diminuito l’entusiasmo, si vide che i risultati, ammesso che ci fossero, erano molto inferiori alle aspettative. I mezzi d’informazione spensero i riflettori e la tecnica fu ridimensionata, ma non abbandonata. Vi si fa ricorso anche in Europa, più spesso negli Stati Uniti, con maggiore regolarità in Cina e negli Emirati Arabi Uniti, ma non è lo strumento miracoloso vagheggiato a suo tempo, men che meno la super arma sognata dal Pentagono.
Spegnere gli incendi, rendere fertili i deserti, piegare alla nostra volontà gli uragani… Le cronache di questi anni dovrebbero, come si dice, parlare da sole: siamo più che mai in balia degli elementi. Ma le fantasie di complotto, reversibili e multiusi, si adattano a qualunque cosa succede: quando c’è siccità, con annessi incendi e processi di desertificazione, vuol dire che si è inseminato per impedire la pioggia. Quando arrivano nubifragi e tifoni, si è inseminato per far piovere.
Nuclei di verità
Le fantasie di complotto sulla guerra climatica hanno un nucleo di verità, anzi, ne hanno diversi. Partiamo dal più ovvio: se i militari potessero controllare il clima con una super arma, lo farebbero senza remore.
È stata questa consapevolezza a ispirare l’Enmod, la convenzione sulla modifica dell’ambiente, il cui nome esteso è convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile. È in vigore dal 1978 e vi aderiscono 78 paesi.
I militari hanno sognato e sognano di controllare gli eventi meteorologici. Ci hanno anche provato. Ma non si sa se ci siano riusciti. E in ogni caso, la guerra del Vietnam gli Stati Uniti la persero.
Le fantasie di complotto sopravvalutano il cloud seeding e la capacità dei potenti di usarlo a proprio piacimento perché sopravvalutano i potenti, ne celebrano in modo obliquo il genio, l’infallibilità, la capacità di prevedere ogni evento.
Del resto, stiamo parlando di un’evoluzione della fantasia di complotto sulle scie chimiche, secondo cui l’intera realtà che viviamo, la nostra percezione, i nostri umori e sentimenti sarebbero condizionati dal rilascio nell’atmosfera di sostanze al tempo stesso tossiche e psicoattive. Stando a quel che si legge sui siti dedicati alle scie chimiche, ogni malattia o disturbo di cui soffriamo, dal reflusso all’acufene, dall’aritmia cardiaca alla stipsi, fino alla patina bianca che a volte si forma sulla lingua, sarebbero conseguenza di un piano che va avanti da decenni in tutto il mondo, complice l’intera aviazione militare e civile.
Di cosa ci parla l’aereo misterioso
Che problemi crea una fantasia come quella dell’aereo misterioso a chi, dentro la crisi climatica, lotta per l’ambiente, la difesa del suolo, la cura del territorio?
La guerra climatica per mezzo del cloud seeding rientra in un insieme che propongo di chiamare “fantasie di complotto sul clima di seconda generazione”. Quelle di prima generazione sono ancora improntate al negazionismo, concetto che però preferisco non usare, perché logorato da utilizzi troppo estesi e ormai facile insulto da scagliare contro questo o quell’avversario ideologico. Valgano come esempi l’accusa rivolta a storiche e storici di essere negazionisti delle foibe e quella, rivolta a quanti criticavano la gestione della pandemia, di essere negazionisti del covid.
Se nelle fantasie di complotto classiche i poteri occulti cospirano per farci credere a un cambiamento climatico inesistente, o comunque non causato da attività umane, in quelle affermatesi di recente si ammette che qualcosa di enorme sta succedendo, che il clima è cambiato, e si punta il dito su cause legate all’attività umana. Dobbiamo riconoscere che si è fatto un passo avanti.
Il problema è che, sotto l’azione dei vari pregiudizi e in mancanza di un’idea chiara di come funzioni il capitalismo, si denunciano cause fittizie. Che spesso si rivelano concause reali, ma di scarso rilievo. Come ogni aereo, anche quelli del cloud seeding inquinano e alterano il clima. Lo fanno a prescindere da quel che spruzzano nelle nubi, con le loro emissioni di CO2. Ma le operazioni di cloud seeding si rivelano poca cosa di fronte alla vastità del fenomeno: ogni giorno si contano circa duecentomila voli. Il traffico aereo è responsabile del 3,5 per cento delle emissioni climalteranti a livello mondiale.
Se queste fantasie puntano il dito sui dettagli sbagliati, la direzione in cui tendono il braccio è giusta, perché giusta è l’intuizione di partenza: nei cieli succede qualcosa di brutto. Se non ci accontentiamo di un banale debunking, se ci poniamo in ascolto, troviamo non solo nuclei di verità, ma messe in guardia da pericoli reali che incombono.
Senz’altro incombe la geoingegneria solare, un insieme di proposte e tecnologie finalizzate a ridurre l’impatto dei raggi solari sul pianeta e mitigare il riscaldamento globale. La strategia più evocata è l’iniezione di aerosol stratosferico, che consiste nell’alterare l’atmosfera per ottenere un aumento dell’albedo – la parte di radiazione solare che si riflette in ogni direzione – e un global dimming (offuscamento globale). Si vuole imitare, utilizzando aeroplani, palloni aerostatici o razzi, quel che succede dopo grandi eruzioni vulcaniche, come quella del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883 o quella del Pinatubo, nelle Filippine, nel 1991. La stratosfera si riempie di anidride solforosa e poi di particelle di acido solforico, che riflettono la radiazione solare verso lo spazio esterno. Di conseguenza, la temperatura media del pianeta si abbassa anche di un paio di gradi, per periodi variabili da uno a tre anni.
La proposta solleva una grande quantità di interrogativi scientifici, etici e politici. Torniamo al problema che rende difficile valutare gli effetti del cloud seeding: nell’atmosfera non si possono fare esperimenti controllati. È impossibile prevedere gli effetti collaterali sul clima, sugli oceani, sulla vita. L’anidride solforosa ha una lunga storia di conseguenze sull’ambiente, è noto da decenni che causa piogge acide.
Nel 1974 Roberto Roversi intitola Anidride solforosa uno dei testi scritti per Lucio Dalla. Darà il titolo al secondo album realizzato insieme. C’è il mare che “si scuote da fare pena”, il “patrimonio forestale in distruzione”, “percentuali di particelle solide presenti nell’atmosfera / tutti i dati raccolti sono trasmessi all’elaboratore”. Elaboratore che ha “per sorte / di aiutare l’uomo a vincere la morte” e saprà dirci “quante volte fare l’amore / e quante volte i fiumi in Italia traboccano”.
L’idea che possiamo cavarcela con un espediente tecnologico e andare avanti con il nostro tran tran è un’illusione e un diversivo. È la trappola del “soluzionismo tecnologico”, come lo ha chiamato il sociologo Evgeny Morozov, che si parli di geoingegneria, dell’intelligenza artificiale generativa come “faro di speranza” che illumina un futuro “climate smart e sostenibile”, di auto elettriche – della cui filiera si è occupata una recente inchiesta di Report – o di paratie contro l’innalzamento dei mari. Tutto questo distoglie l’attenzione dalla lotta per soluzioni vere, strutturali, basate sulla comprensione delle cause e sulla consapevolezza che a metterci in pericolo è questo modo di produzione.
Fino a pochi anni fa si temeva che singole nazioni avviassero programmi geoingegneristici in modo unilaterale. Un simile scenario è al centro di uno dei romanzi più ambiziosi e discussi degli ultimi anni, Il ministero per il futuro di Kim Stanley Robinson (Fanucci 2022). Nel libro, ad agire senza consenso internazionale è l’India.
Oggi a quel timore se ne è aggiunto un altro: che possano farlo dei privati, si tratti dell’Elon Musk di turno o dell’ultimo dei ciarlatani. Ginger Strand racconta che negli anni quaranta, dopo i primi articoli sul cloud seeding, gli Stati Uniti si riempirono di fabbricanti di pioggia. Ogni imbonitore in grado di procurarsi un velivolo e un po’ di ghiaccio secco fondava un’azienda e offriva i propri servizi ad agricoltori e altri soggetti colpiti dalla siccità. Un episodio recente dimostra che potremmo ritrovarci in una situazione simile.
Nell’autunno 2022 la startup statunitense Make Sunsets lancia dalla Baja California, in Messico, due palloni aerostatici pieni di anidride solforosa. Il fondatore Luke Iseman dichiara di avere già eseguito trentatré lanci, finanziati vendendo ai clienti “crediti di raffreddamento”. L’allarme suscitato e le critiche del mondo scientifico spingono il ministero dell’ambiente messicano a proibire ogni esperimento di geoingegneria nel paese.
Va chiarito che al momento la quantità di anidride solforosa rilasciata dalla Make Sunsets – a sentire Iseman, pochi grammi a pallone – è irrilevante rispetto alle decine di milioni di tonnellate emessi ogni anno da fabbriche, centrali energetiche, motori a combustione, eccetera. Il rischio su cui bisogna riflettere è la completa assenza di regolamentazione: oggi chiunque potrebbe avviare un proprio programma di geoingegneria solare. E se invece che a una startup dai mezzi limitati l’idea fosse venuta a Elon Musk o Jeff Bezos, alla ExxonMobil o alla Chevron, a un oligarca russo, a un magnate cinese?
Ecco perché nel 2022 scienziati ed esperti di politica internazionale di tutto il mondo hanno sottoscritto un appello per un accordo internazionale di non-utilizzo della geoingegneria solare.
Le fantasie di complotto sul clima di seconda generazione, anche se nel loro modo distorto, ci parlano di questi rischi. Non vanno confuse con il negazionismo, né sminuite in quanto bufale e nulla più: bisogna saperle leggere e ascoltare. Senza assecondarle, perché restano dannose a più livelli. Sbagliando a indicare cause e colpevoli, spostano l’attenzione – la risorsa oggi più contesa – e hanno una funzione diversiva. Allo stesso tempo, le loro sparate mettono in difficoltà chi si occupa degli stessi temi con più rigore. Se fai notare che il cloud seeding è stato davvero usato a scopi militari, che se i suoi esiti non fossero tanto incerti sarebbe usato ancora, che se il suo utilizzo bellico è vietato da un’apposita convenzione internazionale significa che è ritenuto un rischio plausibile, che la geoingegneria solare implica operazioni molto simili al cloud seeding ed è un pericolo reale, è facile che ti diano del complottista e ti paragonino a Red Ronnie.
Detto questo, con quelle fantasie di complotto dobbiamo averci a che fare. Come scrive Naomi Klein nel suo nuovo libro, coloro che ci credono e le diffondono sono i nostri doppelgänger. Sono il “doppio” dell’attivismo climatico. Nella seconda parte di questo scritto ripartirò da quest’immagine.
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