Il 18 febbraio Israele ha annunciato che il suo esercito lancerà un’operazione di terra a Rafah se gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza non saranno rilasciati entro l’inizio del Ramadan, il 10 marzo, mentre la comunità internazionale continua a lanciare avvertimenti sulle conseguenze per i circa 1,4 milioni di palestinesi, in maggioranza sfollati, attualmente presenti in città.
“Se Hamas non annuncerà la resa e non libererà tutti gli ostaggi entro il Ramadan, intensificheremo la nostra offensiva nella Striscia, e in particolare a Rafah”, ha affermato il ministro israeliano Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra del primo ministro Benjamin Netanyahu.
Durante il suo attacco senza precedenti in territorio israeliano del 7 ottobre, Hamas ha rapito circa 250 persone. Secondo le autorità israeliane, 130 si trovano ancora nella Striscia di Gaza, ma trenta di questi sarebbero morti.
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“Chiunque voglia impedirci di condurre un’operazione a Rafah ci sta chiedendo di perdere la guerra”, ha affermato Netanhayu il 17 febbraio.
Secondo Gantz, l’operazione sarebbe condotta dopo aver favorito il trasferimento dei civili in modo da “minimizzare per quanto possibile il numero delle vittime”. Il governo israeliano non ha però chiarito dove dovrebbero rifugiarsi.
Il 18 febbraio il presidente francese Emmanuel Macron e il suo collega egiziano Abdel Fattah al Sisi hanno espresso la loro “ferma opposizione a un’operazione di terra a Rafah e a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione verso l’Egitto”, ha affermato Parigi in un comunicato.
Secondo il ministero della salute di Hamas, nelle ultime ventiquattr’ore 127 persone sono morte nei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza.
Secondo le autorità di Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato finora la morte di più di 29.092 persone. L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha invece causato circa 1.140 vittime in Israele, secondo un conteggio dell’Afp basato sugli ultimi dati israeliani disponibili.
Intanto, il 19 febbraio Riyad al Maliki, ministro degli esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), ha affermato nel corso di un’udienza alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja (Cig) che il popolo palestinese sta subendo un regime di “colonialismo e apartheid” sotto l’occupazione israeliana.
“Qualcuno s’indignerà per l’uso di queste parole, ma dovrebbe indignarsi per la realtà dell’occupazione israeliana”, ha dichiarato Al Maliki.
L’Anp chiede alla Cig di dichiarare illegale l’occupazione israeliana e di ordinarne la fine “immediata, totale e senza condizioni”.
Parere non vincolante
A partire dal 19 febbraio la Cig deve esaminare le conseguenze legali dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi cominciata nel 1967. I rappresentanti di più di cinquanta paesi – tra cui Stati Uniti, Russia e Cina – saranno chiamati a testimoniare.
Il 31 dicembre 2022 l’assemblea generale delle Nazioni Unite aveva approvato una risoluzione che chiedeva alla Cig un “parere consultivo sulle conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche d’Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est”.
Il parere della Cig non sarà vincolante, ma s’inserisce in un contesto di crescenti pressioni internazionali legate all’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza.
Il 26 gennaio la Cig aveva chiesto a Israele, in seguito a un ricorso presentato dal Sudafrica, di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti genocidari” nella Striscia e di consentire l’accesso agli aiuti umanitari.