La corte costituzionale dell’Uganda ha respinto il 3 aprile un ricorso contro la dura legge contro le persone lgbt+ entrata in vigore nel paese nel maggio 2023, che ha suscitato le proteste delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani, oltre a spingere gli Stati Uniti ad adottare alcune sanzioni.
Chiamata “legge anti-omosessualità 2023”, prevede sanzioni pesanti per le persone che hanno relazioni omosessuali o “promuovono” l’omosessualità. Per il reato di “omosessualità aggravata” si rischia la pena di morte, che però non è applicata da anni.
Nell’agosto scorso un uomo di 20 anni è diventato il primo ugandese a essere incriminato per “omosessualità aggravata”. Era stato arrestato per aver avuto “rapporti sessuali illegali con un uomo di 41 anni”.
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“Il ricorso chiedeva sostanzialmente l’annullamento della legge per incostituzionalità”, ha affermato il giudice Richard Buteera. “Dopo aver valutato attentamente la questione, abbiamo stabilito che non ci sono gli estremi per annullare la legge, e neanche per sospenderne l’applicazione”.
Il ricorso era stato presentato da due docenti di diritto di un’università della capitale Kampala, due deputati del Movimento di resistenza nazionale (Nrm, al potere) e alcuni attivisti per i diritti umani.
Sostenevano che la legge violasse alcuni diritti fondamentali garantiti dalla costituzione e che fosse stata approvata senza consultare adeguatamente la popolazione, come previsto dalla legge fondamentale ugandese.
Molti governi e organizzazioni internazionali avevano protestato duramente con l’Uganda dopo l’approvazione della legge, considerata una delle più repressive al mondo nei confronti della comunità lgbt+.
Il presidente Yoweri Museveni, che dal 1986 governa il paese con il pugno di ferro, l’aveva ratificata nel maggio 2023 affermando che non avrebbe mai ceduto alle pressioni internazionali.
Ad agosto la Banca mondiale aveva annunciato la sospensione di nuovi prestiti all’Uganda perché la legge “contraddice i valori sostenuti dall’istituzione”.
A dicembre il ministro degli esteri ugandese Henry Okello Oryem aveva accusato l’occidente di “voler costringere l’Uganda ad accettare le relazioni omosessuali usando l’arma degli aiuti e dei prestiti”.