Il 20 maggio la giustizia britannica ha stabilito che il fondatore di Wikileaks Julian Assange potrà presentare nuovamente appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti, dove sarebbe processato per la pubblicazione di migliaia di documenti segreti.
Se la richiesta fosse stata respinta, Assange, 52 anni, cittadino australiano, avrebbe rischiato una rapida estradizione.
“Questa decisione segna un punto di svolta”, ha affermato in aula la moglie Stella.
Assange non ha partecipato all’udienza “per motivi di salute”, ha dichiarato il suo avvocato Edward Fitzgerald.
Molti sostenitori di Assange, che lo considerano un martire della libertà, si sono radunati fuori dal tribunale intonando slogan e sollevando cartelli.
Assange rischia fino a 175 anni di prigione per aver pubblicato a partire dal 2010 più di 700mila documenti segreti sulle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti, in particolare in Iraq e in Afghanistan.
Tra questi c’è un video che mostra alcuni civili uccisi in Iraq da soldati statunitensi in elicottero nel luglio 2007.
I documenti sono stati ottenuti con la collaborazione della soldata statunitense Chelsea Manning, condannata nell’agosto 2013 a trentacinque anni di prigione da una corte marziale e rilasciata nel gennaio 2017 dopo aver ricevuto la grazia dal presidente Barack Obama.
Alla fine di marzo l’alta corte di Londra aveva chiesto agli Stati Uniti nuove garanzie sul trattamento che avrebbero riservato ad Assange in caso di estradizione. In particolare, i giudici Victoria Sharp e Jeremy Johnson avevano invitato le autorità statunitensi ad assicurare che l’imputato avrebbe beneficiato del primo emendamento della costituzione statunitense, che protegge la libertà d’espressione, e che non sarebbe stato condannato a morte.
Nell’udienza del 20 maggio gli Stati Uniti hanno garantito che Assange non sarebbe stato condannato a morte, ma sono emersi forti dubbi sulla possibilità d’invocare il primo emendamento, anche perché l’imputato non è cittadino statunitense.
Il fondatore di Wikileaks era stato arrestato dalla polizia britannica nel 2019 dopo aver trascorso sette anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
Nel gennaio 2021 la giustizia britannica aveva in un primo momento dato ragione ad Assange. Citando un rischio di suicidio, la giudice Vanessa Baraitser aveva rifiutato di dare il via libera all’estradizione. Ma la decisione era stata poi rovesciata.