Il 3 settembre il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato il suo collega mongolo Ukhnaagiin Khürelsükh a Ulan Bator nella sua prima visita ufficiale in un paese membro della Corte penale internazionale (Cpi) dopo l’emissione di un mandato d’arresto nei suoi confronti.

Il viaggio di Putin costituisce una sfida alla Cpi, all’Ucraina, a molti paesi occidentali e alle organizzazioni per i diritti umani, che nei giorni scorsi avevano chiesto alla Mongolia di arrestarlo, cosa che Ulan Bator non è disposta a fare.

La Cpi ha spiccato un mandato d’arresto contro Putin nel marzo 2023 per la deportazione illegale di bambini ucraini in Russia. La Mongolia, paese membro, è obbligata ad arrestarlo in base allo statuto di Roma, il trattato istitutivo della corte.

Il governo ucraino ha reagito con rabbia al mancato arresto di Putin. Il ministero degli esteri di Kiev ha accusato la Mongolia di “permettere al criminale Putin di sfuggire alla giustizia, condividendo così la responsabilità dei suoi crimini di guerra”.

La settimana scorsa la Cpi, che ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi, aveva ribadito che i paesi membri hanno l’obbligo di arrestare le persone per le quali sono stati emessi mandati d’arresto.

Nella pratica, però, non può costringerli a farlo. Quando un paese membro non adempie ai propri obblighi nei confronti della Cpi, quest’ultima può deferirli all’Assemblea degli stati parte (Asp), che si riunisce una volta all’anno, ma le cui sanzioni si limitano essenzialmente a un rimprovero verbale.

In passato altre persone per le quali la Cpi aveva emesso mandati d’arresto, tra cui l’ex presidente sudanese Omar al Bashir, hanno visitato paesi firmatari dello statuto di Roma senza subire conseguenze.

La Mongolia ha ratificato lo statuto di Roma nel 2002.

Paese senza sbocco sul mare, stretto tra due stati autoritari, la Russia e la Cina, la Mongolia ha forti legami culturali con Mosca e commerciali con Pechino.

Entrambe le potenze ambiscono alle sue risorse naturali e puntano ad aumentare la loro influenza, così come gli Stati Uniti.

Ulan Bator non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina e si è astenuta sulle risoluzioni delle Nazioni Unite contro Mosca.

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