L’11 settembre il senato messicano ha approvato una riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta dei giudici e dei magistrati, poche ore dopo l’irruzione di centinaia di manifestanti nell’edificio che lo ospita.
Promossa dal presidente uscente di sinistra Andrés Manuel López Obrador, la riforma è stata approvata con 86 voti a favore e 41 contrari, arrivando quindi alla maggioranza richiesta dei due terzi.
Il 10 settembre centinaia di manifestanti avevano fatto irruzione nell’aula del senato per cercare d’impedire l’approvazione della riforma.
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Dopo aver sfondato le barriere di sicurezza, avevano costretto il presidente del senato Gerardo Fernández Noroña a sospendere la seduta.
Poco dopo Fernández Noroña aveva annunciato che la seduta si sarebbe svolta nel vecchio edificio del senato.
La discussione era quindi ripresa in serata nella vecchia sede, anch’essa raggiunta dai manifestanti.
Questi ultimi, in maggioranza dipendenti dell’amministrazione giudiziaria e studenti di legge, protestano da settimane contro la riforma, che renderebbe il Messico il primo paese al mondo a eleggere tutti i suoi giudici, compresi quelli della corte suprema.
Il testo, che preoccupa anche gli Stati Uniti e gli investitori, prevede l’elezione diretta dei giudici e dei magistrati a partire dal 2025 per combattere la corruzione, secondo il partito al governo Morena.
La riforma era stata approvata la settimana scorsa dai deputati in una palestra, dopo che la camera bassa era stata circondata dai manifestanti.
Secondo il presidente López Obrador, che il 1 ottobre cederà il potere a Claudia Sheinbaum, anche lei esponente del partito Morena, il sistema giudiziario messicano è corrotto e sottomesso alle élite, mentre più del 90 per cento dei crimini rimane impunito.
Gli oppositori della riforma sostengono invece che minerà l’indipendenza della magistratura, rendendola vulnerabile alle pressioni della criminalità organizzata.