Un ritratto del presidente siriano Bashar al Assad a Damasco, il 12 settembre 2018. (Marko Djurica, Reuters/Contrasto)

L’ex presidente siriano Bashar al Assad ha rotto il silenzio il 16 dicembre, più di una settimana dopo essere stato esautorato, affermando di essere fuggito dalla Siria su richiesta di Mosca solo dopo la caduta di Damasco e definendo i ribelli che hanno preso il potere dei “terroristi”.

Diversi funzionari siriani hanno riferito all’Afp che Assad era fuggito senza avvertire i componenti della sua famiglia o i suoi più stretti collaboratori nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, durante la caduta della capitale nelle mani di una coalizione ribelle guidata da jihadisti.

“La mia partenza dalla Siria non è stata premeditata né è avvenuta durante le ultime ore della battaglia, contrariamente ad alcune accuse”, ha detto Bashar al Assad in una dichiarazione pubblicata sul canale Telegram della presidenza.

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“Al contrario, sono rimasto a Damasco, adempiendo al mio dovere fino all’alba di domenica 8 dicembre”, ha detto nella sua prima dichiarazione da Mosca dopo la sua caduta.

Assad ha affermato che la base russa a Hmeimim, sulla costa mediterranea, dove si era rifugiato, è stata attaccata dai droni “poiché la situazione sul terreno continuava a deteriorarsi”.

“Senza mezzi validi per lasciare la base, Mosca ha chiesto (…) un’immediata evacuazione verso la Russia la sera di domenica 8 dicembre”, ha aggiunto, affermando che la Siria era ormai “nelle mani dei terroristi”.

Bashar al Assad ha governato la Siria dal 2000, ma ha lasciato il paese una settimana fa quando la coalizione di ribelli guidata dal gruppo islamista radicale Hayat tahrir al sham (Hts) ha preso il controllo di Damasco.

Affiliato siriano di Al Qaeda, il gruppo Hts afferma di aver rotto con il jihadismo, ma rimane classificato come “terrorista” da diversi paesi occidentali tra cui gli Stati Uniti. Il 15 dicembre gli Stati Uniti hanno però affermato di aver stabilito un “contatto diretto” con il nuovo governo di Damasco.

La guerra in Siria, scatenata nel 2011 dalla sanguinosa repressione delle manifestazioni da parte di Assad, ha provocato più di mezzo milione di morti, devastato il paese e costretto all’esilio circa sei milioni di siriani, ovvero un quarto della popolazione.